A cura di Serena Verdone – Inf. Leg. For. Ufficio Stampa e Comunicazione
Afragola, 28 maggio 2025 – Il corpo di Martina Carbonaro, 14 anni, è stato ritrovato nella notte tra il 27 e il 28 maggio in un edificio abbandonato ad Afragola, in provincia di Napoli. A confessare l’omicidio è stato il suo ex fidanzato, Alessio Tucci, 19 anni, ora in stato di fermo con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
Martina era scomparsa la sera di lunedì 26 maggio. I familiari avevano subito denunciato la scomparsa. Anche Tucci aveva inizialmente partecipato alle ricerche, fingendo preoccupazione. Le immagini delle telecamere di sorveglianza e le incongruenze nel suo racconto hanno portato gli inquirenti a sospettare di lui. Alla fine, ha confessato: «L’ho uccisa perché mi aveva lasciato.»
Secondo la ricostruzione, Alessio ha attirato Martina in un edificio fatiscente nei pressi dell’ex stadio Moccia. Lì, l’ha colpita alla testa con una pietra e ha nascosto il corpo in un armadio, coprendolo con detriti.
In casi di femminicidio come questo, anche se non è stato confermato un suo intervento specifico nel presente episodio, il ruolo dell’infermiere legale forense è rilevante. Questa figura professionale, sempre più riconosciuta nel campo della medicina legale, può contribuire all’analisi delle lesioni, alla documentazione forense e al rispetto della catena di custodia delle prove, affiancando magistrati e forze dell’ordine nella raccolta di elementi decisivi per il processo penale.
La madre della vittima, Enza Cossentino, ha raccontato che la figlia aveva già subito uno schiaffo da parte di Tucci e che voleva porre fine a quella relazione: «Le dicevo di stargli lontano. Lui era ossessivo, possessivo» Ora chiede giustizia: «Deve marcire in carcere»
La comunità di Afragola è sotto shock. Il sindaco, Antonio Pannone, ha parlato di “immane tragedia” e ha proclamato il lutto cittadino. Una fiaccolata in memoria di Martina ha radunato centinaia di persone in silenzio, con una sola richiesta: mai più.
L’ennesimo femminicidio riaccende il dibattito sulla violenza contro le donne e sull’urgenza di educare i più giovani al rispetto, all’affettività sana e alla parità di genere.
I dati aggiornati al 28 maggio 2025 indicano che in Italia si sono verificati 37 femminicidi dall’inizio dell’anno, secondo l’Osservatorio nazionale di Non Una Di Meno . Queste tragiche morti coinvolgono donne di ogni età, spesso uccise da partner, ex compagni o familiari, e in alcuni casi anche da sconosciuti.
L’APSILEF (Associazione Professioni Sanitarie Italiane Legali e Forensi), come Associazione Tecnico Scientifica è da anni impegnata nella sensibilizzazione e formazione sul fenomeno della violenza domestica, non solo all’interno dell’ambito sanitario-forense, ma anche attraverso un dialogo aperto e costruttivo con i centri antiviolenza, le forze dell’ordine e la magistratura.
Il suo intervento si articola su più fronti:
- Sensibilizzazione delle donne vittime di violenza, affinché possano comprendere ciò che stanno vivendo e avviarsi verso un percorso di assistenza, protezione e consapevolezza, rivolgendosi ai centri antiviolenza. Non sempre chi subisce maltrattamenti ha gli strumenti per riconoscere e definire il proprio vissuto come violenza. Serve quindi un supporto professionale, competente e umano.
- Sensibilizzazione delle autorità giudiziarie e delle forze dell’ordine, che talvolta non hanno una preparazione adeguata per riconoscere tutte le dinamiche della violenza domestica. Queste, troppo spesso, vengono erroneamente interpretate come semplici conflitti tra coniugi o conviventi, quando invece sono relazioni improntate all’abuso, al controllo, alla sopraffazione.
È fondamentale chiarire che non è conflitto, se c’è violenza è violenza, e come tale va trattata: in modo tempestivo, tutelante e non minimizzante.
Una criticità particolarmente grave riguarda l’approccio adottato da alcuni giuristi che difendono imputati accusati di maltrattamenti o abusi. Nel tentativo di alleggerire la posizione dell’imputato, questi legali tendono spesso a derubricare atti gravi di violenza come semplici “conflitti” relazionali. Una strategia retorica pericolosa, che finisce per normalizzare o persino giustificare comportamenti che costituiscono veri e propri reati.
A ciò si aggiunge l’urgente necessità di una maggiore sensibilizzazione della magistratura, affinché le sentenze non contengano più valutazioni superficiali o inaccettabili. Emblematico, in tal senso, è il caso tristemente noto del 25 febbraio 2025. In quella data, il tribunale ha assolto un professore dell’Università di Catania, S. T., 68 anni, dall’accusa di violenza sessuale e molestie verbali nei confronti di sette studentesse, fatti avvenuti tra il 2010 e il 2014 presso l’ospedale Vittorio Emanuele Ferrarotto.
Nonostante i giudici (due donne e un uomo) abbiano riconosciuto nelle motivazioni della sentenza «un comportamento predatorio e ossessivo nei confronti delle studentesse», hanno concluso che «non si è raggiunta la prova al di là di ogni ragionevole dubbio». Fra le argomentazioni addotte si legge: «Ha appoggiato i palmi al seno; non c’è stata una pressione particolare delle mani» e ancora: «Appare poco verosimile che, volendole palpare una zona erogena, il docente non abbia fatto alcuna allusione sessuale».
Simili argomentazioni non sono solo logicamente assurde, ma profondamente lesive della dignità delle vittime e della credibilità del sistema giudiziario. Non a caso, la Procura di Catania ha annunciato ricorso.
Quando una donna non si sente ascoltata, creduta, compresa o protetta dalle istituzioni, è meno propensa a denunciare. E senza denuncia, resta intrappolata in una spirale di abusi che, troppo spesso, conduce a esiti tragici.
La responsabilità della giustizia non si esaurisce nella mera applicazione della pena: essa consiste anche nel riconoscere, comprendere e proteggere. Una giustizia che sminuisce, giustifica o banalizza la violenza domestica e sessuale non solo fallisce nel suo compito, ma tradisce le vittime, allontanando le donne dallo Stato e lasciandole drammaticamente sole.
Le donne che subiscono violenza domestica e decidono di denunciare affrontano non solo il trauma, ma anche un percorso lungo, complesso e spesso oneroso dal punto di vista economico.
Nella parte penale ci sono tutele previste come gratuito patrocinio anche senza limiti di reddito per le vittime di reati di violenza di genere (art. 76, comma 4-ter, DPR 115/2002). Nella parte civile le tutele sono molto più fragili o inesistenti.
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1522 è il numero nazionale gratuito e attivo 24 ore su 24, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità. Risponde in più lingue, in modo riservato e sicuro, offrendo ascolto, supporto e orientamento ai centri antiviolenza presenti sul territorio.