Straining e Organizzazioni Sanitarie

Nel sistema complesso delle organizzazioni la suddivisione in dipartimenti, la stratificazione delle funzioni e delle competenze, le diverse professionalità e la gestione manageriale hanno distanziato  fra loro le professioni appartenenti al sistema suddetto.

L’organizzazione sanitaria deve rispondere all’aumento di incertezza dovuta agli accorpamenti delle Asl, alla soppressione delle Unità Operative e alla conseguente gestione degli stessi a livello intra-dipartimentale, inter-dipartimentale ed extra-dipartimentale.

Da questo scaturisce l’obbligo di dirigere l’interdipendenza fra unità operative dipartimentali, mansioni non ben codificate, crescente specializzazione e risorse da coordinare sempre in aumento, integrare e fondere, evitando duplicazioni, sovrapposizioni e lacune. Una caratteristica delle organizzazioni sanitarie che sono definite complesse da gestire è che in esse vi lavorano molti professionisti (professioni mediche, infermieristiche, tecniche, ecc.), afferenti tutte alle professioni sanitarie della Legge Gelli-Bianco. Dalla citata complessità capiamo che lo stress può derivare da tensioni interne al gruppo di lavoro, riconducibile a carichi di lavoro esorbitanti in carico a pochi, una leadership mancante e situazioni preferenziali che l’organizzazione mal gestisce, coprendo e non rimuovendone la causa.

“Con il termine di benessere organizzativo possiamo intendere l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro, promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative”. (Avallone, 2003 Pag. 13, 42).

Le vicende turbative della serenità del lavoratore nel contesto in cui si svolge la sua prestazione professionale riguardano una realtà nella quale il diritto e la psicologia si ritrovano a collaborare e in quest’ambito le due discipline non possono fare a meno l’una dell’altra.

                                        Lo Straining 

Nell’ordinamento lavoristico italiano non esiste una definizione di mobbing né è presente una norma specifica che ne delinei i contorni e le sanzioni. Il mobbing e lo Straining non possono essere considerate dunque “fattispecie” in senso tecnico-giuridico. La situazione di stress forzato del lavoratore, quando discende da azioni ostili sporadiche e non frequenti è Straining e non mobbing, fenomeno molto simile ma più attenuato riconosciuto dalla scienza medico legale.

Lo Straining viene definito dal Tribunale di Bergamo (Cfr. Tribunale del Lavoro di Bergamo, sent. n. 286/2005) come “una situazione di stress forzato sul posto di lavoro in cui la  vittima subisce almeno un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante”.

Lo Straining viene attuato appositamente contro una o più persone ma sempre in maniera discriminante” e il lavoratore si trova in persistente inferiorità rispetto alla persona che lo attua. In questa situazione lavorativa conflittuale di stress forzato le azioni ostili limitate nel numero e non frequenti nel tempo sono comunque  tali da influenzare in negativo la condizione lavorativa.

Rilevante è che lo Straining sia tale da generare nei confronti della vittima una condizione psico-fisica di permanente disagio sul luogo di lavoro, situazioni molto “stressanti” alle quali il lavoratore è esposto come per esempio episodi di isolamento o dequalificazione.

Lo Straining può essere considerato come  più attenuato del mobbing dato che non richiede la sistematicità, la frequenza e la ripetitività delle condotte vessatorie ma che in certi casi produce gli stessi disturbi che provocherebbe il mobbing vero e proprio (alterazioni dell’equilibrio socio-emotivo per esempio depressione, patologie cardiache e attacchi d’ansia, attacchi di panico, così come alterazioni dell’equilibrio psicofisico e dei disturbi a livello comportamentale).

In tutte queste situazioni se lo Straining si verifica con una azione unica ed isolata o comunque in più azioni ma prive di continuità, può produrre una situazione stressante e pur mancando il requisito della continuità nel tempo, la condotta utilizzata nei confronti del lavoratore può essere sanzionata in sede civile in quanto costituisce violazione dell’obbligo di tutela dell’integrità fisica, della personalità e della morale del lavoratore.

Sulla base di una vasta analisi dei sintomi riportata dai soggetti osservati, si è arrivati a stabilire che i disturbi di cui generalmente soffrono i lavoratori-vittime possono rientrare nella categoria dei disturbi post-traumatici da stress (PTSD).

Non mancano a riguardo i pareri discordanti: alcuni inquadrano il mobbing come disturbo dell’adattamento e altri ancora ritengono che una delle sindromi che più colpisce i lavoratori a seguito di pratiche di mobbing sia il disturbo di attacchi di panico (Timpa et al., 2005).

La sentenza n. 3291/2016 della Corte di Cassazione si è occupata della vicenda di una dipendende di un Azienda Sanitaria che per essere risarcita  del danno da demansionamento e da mobbing ha agito in giudizio. Ad essa le è stato riconosciuto il diritto di risarcimento dei danni causati dallo stress a lavoro richiamando la responsabilità, dove in base all’art. 2087 c.c. viene specificato che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. La liquidazione deve essere adeguata alla misura della sofferenza patita e al danno psichico permanente subito dalla professionista sopra citata sempre che questo danno psichico non comporti alcuna duplicazione.

Esaminando l’ambiente sanitario deduco che non tutti i colleghi Infermieri e non tutti i Medici (comprendendo le Dirigenze Infermieristiche e Mediche) pensino che la collaborazione tra professionisti nasca sul principio dell’inter-disciplinarietà e dell’inter-professionalità, volte ad ottimizzare l’assistenza e la cura del paziente  e per questo si assiste quotidianamente a fenomeni di mobbing e di demansionamento, finalizzati spesso a strategie aziendali e strutturali.

Nonostante ci ritroviamo nell’era epocale del cambiamento l’Infermiere ancora oggi subisce l’azione coatta dei “superiori” senza riflettere su ciò che gli accade, semplicemente perché il livello culturale di tanti professionisti non ha visto approfondire conoscenze dei propri doveri e dei propri diritti.

Apsilef Ufficio Stampa e Comunicazione

Omar FloreInfermiere Specialist Legale ForenseArea Critica ed Emergenza Sanitaria 

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