Anna Arnone – Ufficio Stampa & Comunicazione APSILEF

Nel complesso quadro normativo in profonda evoluzione appare sempre più necessario concentrare gli interventi nell’ambito formativo, viste le sempre crescenti e nuove richieste in tema di risk management. Molti sono gli ambiti che restano ancora da focalizzare in ambito formativo: quali e quanti professionalità formare, quali strumenti formativi, quali i principali contenuti che devono essere appresi dai discenti. Questi sono solo alcuni degli aspetti su cui pare opportuno che il mondo accademico si confronti con i professionisti, le società scientifiche e le associazioni professionali, nonché le istituzioni nazionali e regionali.
In Italia si è assistito ad un continuo incremento di interesse sul tema della sicurezza delle cure e della qualità delle prestazioni a partire dalla fine degli anni ’90 [1,2,3] e ciò non solo per una rinnovata cultura della sicurezza delle cure, ma anche per i dati che indicano come un’errata gestione del rischio possa comportare un aumento delle spese per le prestazioni sanitarie. Questo ha inevitabilmente condotto a produrre più ricerca scientifica sulla tematica: la maggior parte della produzione scientifica è negli Stati Uniti, Paese in cui si concentra più del 90% del totale delle pubblicazioni mondiali. In Europa, la distribuzione geografica della produzione vede il Regno Unito al primo posto con il 25% del totale delle pubblicazioni europee, seguito dalla Germania (12,5%) e dall’Italia (12%). Complessivamente, il 64% della produzione scientifica è pubblicata su riviste mediche, il 30% su riviste infermieristiche ed il 4% su riviste di interesse odontoiatrico [2,3].
L’evoluzione dell’impianto normativo relativo alla responsabilità sanitaria così come la sempre più crescente produzione scientifica hanno posto sempre più al centro il ruolo e la funzione del risk manager [4]. Il Risk manager non si sceglie per titolo di studio, ma, come prescrive la legge, in base ad una “adeguata formazione e comprovata esperienza” nell’organizzazione e nella gestione del rischio. La Federazione Nazionale degli Ordini degli Infermieri lo sottolinea in occasione della presentazione al Forum Risk Management di Firenze dei risultati del lavoro svolto dal coordinamento delle Regioni nel corso del 2019 e lo ha ribadito durante il Forum Risk Management di Arezzo nel 2022: queste precisazioni sono state rese necessarie dopo che alcune strutture certificative private hanno sostenuto che a essere responsabile – ovvero direttore di struttura complessa – delle unità di rischio clinico debba necessariamente essere esclusivamente un medico. La preparazione necessaria al corretto svolgimento dei compiti del risk manager, sottolinea la FNOPI, è sostanzialmente rivolta ai temi dell’organizzazione, dell’analisi dei processi, di comunicazione, di formazione e non ultima di cambiamento culturale. È evidente quindi come la necessità di individuare le caratteristiche di un risk manager della sanità non debba essere esclusivamente ricercata nel corso di laurea svolto ma nella formazione e nelle attività oggettive svolte cioè “con adeguata formazione e comprovata esperienza almeno triennale nel settore”, come appunto indica la legge. Oltre il 90% degli errori che si verificano nella sanità italiana non sono attribuibili a imperizia, imprudenza o negligenza ma, invece, a carenze organizzative, scarsa proceduralizzazione dei processi e ridotto cambiamento culturale verso l’errore.
Il percorso prevede che alla luce della legge 24/2017, i commi 539 e 540 della legge 208 del 2015 le attività previste per il gestore del rischio, son riassumibili in:
1. attivazione dei percorsi di audit o altre metodologie finalizzati allo studio dei processi interni e delle criticità più frequenti;
2. segnalazione anonima del quasi-errore e analisi delle possibili attività finalizzate alla messa in sicurezza dei percorsi sanitari;
3. rilevazione del rischio di inappropriatezza nei percorsi diagnostici e terapeutici;
4. predisposizione e attuazione di attività di sensibilizzazione e formazione continua del personale finalizzata alla prevenzione del rischio sanitario;
5. assistenza tecnica verso gli uffici legali della struttura e nelle attività di stipulazione di coperture assicurative.
Pensare oggi al rischio “clinico”, ha sottolineato la stessa FNOPI in diversi interventi, vuol dire non aver chiaro come si ottiene la sicurezza in sanità che tanto chiaramente ha indicato la legge 24 che l’ha ampliata a quello più corretto di sicurezza in ambito sanitario e che va a contemplare il rischio assistenziale, impiantistico strutturale e organizzativo.
Secondo la FNOPI, dunque, si deve introdurre il cambiamento culturale grazie al quale ognuno ritenga che solo con l’apporto di tutti, nessuno escluso, si migliorano i processi e che ogni operatore è necessario ed utile per rendere le cure più sicure. E la Federazione fa un esempio per tutti: il Risk Manager, direttore di struttura complessa, dell’IRCCS “Rizzoli” di Bologna, Istituto ortopedico famoso nel mondo, è un infermiere con laurea magistrale in Scienze infermieristiche.
La formazione nel campo del Risk Management
Essendo l’attività sanitaria di per sé rischiosa, si ritiene utile un approccio sistemico alla gestione del rischio, orientato sul processo e sull’organizzazione piuttosto che sul singolo attore. Se non si può eliminare completamente l’errore umano, è fondamentale da una parte favorire percorsi formativi che rendano più difficile per l’operatore sbagliare [5,6,7,8] e dall’altra attuare delle strategie di contenimento in grado di arginare le conseguenze di un errore ormai verificatosi. Una formazione approfondita ed efficace dovrà dunque sia concentrarsi sul comportamento umano come fonte di errore sia focalizzarsi sulle condizioni, sulle variabili di contesto nelle quali avviene l’errore per far emergere le problematiche potenziali e/o latenti, al fine di “rimodellizzare” i processi, migliorandoli. L’errore in quest’ottica specifica è sempre fonte di apprendimento, per evitare il ripetersi delle circostanze che lo generano. Questo è il più importante cambio di paradigma della formazione.
L’obiettivo delle iniziative formative è, pertanto, teso a migliorare costantemente la sicurezza del sistema nei confronti dei pazienti, attraverso lo sviluppo di una cultura della sicurezza, della riduzione della possibilità che si verifichino o si ripetano eventi avversi e della promozione di iniziative appropriate per limitare gli eventuali danni. La nuova filosofia che sta alla base del sistema di gestione, recepito in parte anche dalle nuove normative, prevede i seguenti aspetti:
- analizzare, identificare e comprendere gli errori all’interno del processo assistenziale, imparando a considerare errori anche e soprattutto sulla base delle evidenze scientifiche in quel momento disponibili;
- imparare dall’errore e dal quasi errore o “near-miss” e dagli eventi sentinella;
- considerare le criticità del sistema come opportunità di miglioramento nell’ambito della sicurezza, perché quanto verificatosi non riaccada.
Data la complessità dell’intero processo di produzione ed erogazione delle prestazioni sanitarie, ma data anche la sempre crescente e parcellizzante specializzazione ed autonomia dei professionisti che agiscono nella sanità, deve essere chiaro che l’approccio formativo non può che essere sistematico ed interdisciplinare andando a coinvolgere tutte le tipologie di professionisti, permettendo lo sviluppo della cultura della sicurezza con responsabilità della leadership in un clima di collaborazione, disegnando e modificando processi per favorire la sicurezza, sviluppando programmi per la segnalazione di eventi avversi, dei “near-miss” e degli eventi sentinella.
È chiaro che poi, nella sua evoluzione, un percorso formativo a partire da queste nozioni essenziali deve essere calato sulle specificità delle funzioni svolte o sulla responsabilità del Professionista formato, ma certamente ciò che accomuna tutti i percorsi è un approccio che preveda:
- l’autovalutazione della propria realtà in modo critico e non sanzionatorio all’interno dell’organizzazione;
- la gestione di eventi avversi e l’implementazione dei flussi informativi relativi;
- l’identificazione dei percorsi di miglioramento (mediante documenti formali, attraverso la precisione e la cura della completezza della documentazione clinica, una misurazione che garantisca l’evidenza dei miglioramenti raggiunti o da raggiungere con appositi indicatori).
Il processo di autovalutazione relativamente al proprio operato o a quello della funzione organizzativa in cui si è inseriti, in particolare, ha il pregio di far assumere delle consapevolezze sul livello di sicurezza raggiunto, di far identificare opportunità di miglioramento e di stimolare l’agire coordinato ed integrato all’interno di gruppi multiprofessionali, nei quali più professionisti con know-how differenti quotidianamente interagiscono tra loro al fine di garantire il miglior risultato possibile.
Ed è proprio in questo contesto che risulta essenziale e strategica la collaborazione con le Società Scientifiche e le Associazioni Professionali che possono collaborare sia nella migliore definizione dei percorsi formativi necessari che nell’espletamento degli stessi per i propri o associati.
In particolare, esiste una componente del rischio, definito “rischio puro”, che dipende da variabili spesso poco note, da circostanze occasionali, dal concatenarsi di situazioni che favoriscono l’occorrenza di un evento avverso. È su questa componente che si deve lavorare nella formazione per costruire le politiche di gestione del rischio volte alla riduzione degli errori evitabili.
Obiettivi elevati che concorrono a formare una capacità di progettare e gestire organizzazioni in grado di ridurre la probabilità che si verifichino eventi (prevenzione) e di recuperare e contenere gli effetti degli errori che comunque si verificano (protezione).
Si deve dunque preparare l’operatore ad eseguire costantemente un’analisi reattiva ed un’analisi proattiva che, partendo dall’analisi critica della propria condotta e dei propri percorsi decisionali, mira all’individuazione ed all’eliminazione delle criticità del sistema prima che l’incidente si verifichi. Essa è basata sull’analisi dei processi che costituiscono l’attività, ne individua i punti critici con l’obiettivo di progettare sistemi sicuri.
Le Professionalità coinvolte
Come conseguenza logica di quanto sopra affermato in merito alla formazione sul rischio clinico e alla sua gestione, risulta molto chiaro che il target di figure professionali da coinvolgere e di figure in formazione da raggiungere è estremamente ampio: Risk Manager (collaboratori o aspiranti tali), Medici di formazione internistica o chirurgica, Medici Legali Ospedalieri, Infermieri; Ingegneri clinici, tecnici sanitari, Farmacisti, Dirigenti amministrativi, RSPP, dirigenti degli Uffici Tecnici e responsabili della manutenzione, responsabili della Qualità e/o del governo clinico, Medici competenti.
La figura del Risk Manager o responsabile della gestione del rischio clinico è una figura tecnica ed organizzativa che, con un forte e preciso commitment da parte dei vertici aziendali, per mezzo di una formazione ed un’esperienza professionale acquisita e costantemente aggiornata, sviluppa l’autorevolezza, la competenza, il riconoscimento, gli strumenti d’analisi e di motivazione all’interno dell’azienda.
Egli utilizzerà la sua leadership nei seguenti ambiti:
- Pianificazione (con l’identificazione di obiettivi prioritari, di processi sensibili, riconoscendo e censendo le debolezze del sistema);
- Monitoraggio (inteso sia pianificazione ed eventualmente partecipazione diretta all’effettuazione dello stesso, che come identificazione degli indicatori necessari, loro implementazione e programmazione del loro utilizzo);
- Supervisione delle attività di analisi, di verifica e di controllo;
- Coinvolgimento di tutti i Professionisti coinvolti nei processi di produzione delle prestazioni;
- Comunicazione dei risultati sia ai vertici aziendali, ed eventualmente agli stakeholders istituzionali, sia ai sanitari coinvolti nei processi di erogazione delle prestazioni sanitarie.
Tale figura deve dunque possedere e trasmettere la cultura della “patient safety”, evitando la promessa di perfezione o l’ottica della punizione, responsabilizzando e coinvolgendo team e staff e garantendo una buona comunicazione e capacità di guida anche in caso di gestione dell’errore effettivamente avvenuto.
Soprattutto egli dovrà riuscire a trasmettere la necessità e la convenienza della segnalazione precoce dei rischi clinici rilevati, dei danni eventualmente causati, degli eventi avversi, dei near missed events e degli eventi sentinella; gestirne correttamente ed oculatamente i relativi flussi informativi, garantendo fin dove è utile e possibile la confidenzialità del dato.
Dalla teoria alla pratica: gestire il rischio clinico con tutte le professionalità. Due esempi di gestione del rischio clinico attraverso la gamification
Di seguito saranno presentati alcuni sistemi messi in pratica in alcuni contesti sanitari per prevenire l’evento avverso: il risk gaming e il Global Trigger Tool (GTT). Quest’ultimo, creato dall’Institute of Healthcare Improvement, riesce ad identificare dalle cartelle cliniche i trigger o gli indizi che possono essere la spia di un evento avverso [10]. Questo metodo, utilizzato in molte strutture, è spesso citato come il metodo per definire il numero di eventi avversi nelle pubblicazioni di settore. Esso si basa su un campionamento periodico delle cartelle cliniche che vengono esaminate da due sanitari –e discussi con un terzo sanitario che determina la valutazione finale del caso [10].
Negli anni le strutture che predispongono tale metodo hanno adottato una politica aziendale costantemente rivolta alla prevenzione del rischio in ambito sanitario ed alla sicurezza delle cure. In particolare, l’istituzione di un Comitato di Gestione del Rischio al quale è affidato l’incarico d’identificare e analizzare i rischi propone le conseguenti azioni di miglioramento: l’introduzione di un gioco aziendale legato alle politiche di risk management rappresenta sempre di più in numerose realtà una delle suddette azioni di miglioramento.
Aumentare il numero e l’appropriatezza delle segnalazioni di incident reporting, nonché incrementare la consapevolezza delle politiche di gestione del rischio operanti in struttura, stimolando e sensibilizzando gli operatori sanitari mediante un processo di gamificazione, può garantire i risultati sperati. Seguendo lo schema proposto in varie realtà sanitarie il personale sanitario operante in struttura è suddiviso in squadre:
• Squadra blu: U.O. X;
• Squadra rossa: U.O. Y;
• Squadra viola: U.O. Z;
• Squadra bianca: K;
• Squadra verde: J;
• Squadra gialla: U.O. U.
Ogni squadra è chiamata a:
– identificare un caposquadra avente lo scopo di fornire al Comitato di Gestione del Rischio il proprio indirizzo e-mail;
– segnalare con tempestività qualsiasi evento avverso ravvisato nella propria area di competenza, mediante la compilazione dell’apposita scheda di segnalazione, come previsto dalla procedura interna e mediante tempestivo invio della stessa all’indirizzo e-mail dell’U.O.C. Rischio Clinico;
– rispondere correttamente alle domande riguardanti le politiche relative alla gestione del rischio operanti in struttura, recapitate all’indirizzo email dei capi-squadra con frequenza settimanale.
Il Comitato Ristretto di Gestione del Rischio provvede a:
– verificare le segnalazioni di incident reporting raccolte in termini di aderenza alla procedura, adeguatezza delle segnalazioni stesse e delle schede utilizzate;
– inviare ai capi-squadra le domande riguardanti le politiche relative alla gestione del rischio operanti in struttura;
– assegnare i punteggi relativi alle segnalazioni effettuate e alle domande correttamente risposte.
I punteggi sono assegnati nel modo seguente:
– segnalazioni di errori di terapia farmacologica: 15 punti;
– altre segnalazioni d’incident reporting: 10 punti;
– risposte corrette alle domande inviate per email: 5 punti
Ogni primo del mese la classifica provvisoria è inviata per via mail ai rispettivi capi-squadra. Al termine del gioco il Comitato Ristretto di Gestione del Rischio provvede al calcolo definitivo dei punteggi acquisiti e alla preparazione della classifica finale. La squadra che acquista il maggior punteggio riceve in premio una somma in denaro da spendere o per un progetto formativo sul risk management o in apparecchiature o attrezzature necessarie per i reparti vincitori o, in alternativa, in incentivi economici destinati al personale dell’unità operativa vincitrice. La consegna del premio avviene in occasione di una breve cerimonia alla quale sono invitati tutti i partecipanti al gioco.
Il Global Trigger Tool: come trovare gli eventi avversi
Lo strumento Global Trigger Tool dell’Institute of Healthcare Improvement per la quantificazione degli eventi avversi fornisce un metodo facile da usare per identificarli con precisione e per monitorarne il tasso del tempo. Questo monitoraggio nel tempo è un modo utile per capire se le azioni correttive che sono state introdotte stanno migliorando la sicurezza dei processi di cura. La metodologia Global Trigger Tool (GTT) si basa su una revisione retrospettiva di un campione casuale di cartelle cliniche ospedaliere per la ricerca di “trigger” (o indizi) finalizzati a identificare possibili eventi avversi. Molti ospedali hanno utilizzato questo strumento per identificare gli eventi avversi, per valutare il livello di danno di ciascun evento avverso e per determinare se gli eventi avversi si sono ridotti nel tempo come risultato degli sforzi di miglioramento. È importante notare, tuttavia, che il GTT non ha lo scopo di identificare ogni singolo evento avverso in una cartella clinica. La metodologia, il limite di tempo consigliato per la revisione e la selezione casuale dei ricoveri sono stati progettati per produrre un campione di cartelle cliniche sufficiente per determinare i tassi di eventi avversi e per monitorare i miglioramenti nel tempo. Infine, Il GTT non distingue tra eventi avversi prevenibili e non prevenibili e può identificare gli errori “attivi” e non quelli da omissione: il metodo non può identificare tutti gli eventi avversi dell’ospedale ma, man mano che i dati vengono raccolti, dà un quadro affidabile dei potenziali danni occorsi ai pazienti ricoverati.
Conclusioni
L’approccio innovativo al tema, che tenga conto dei contesti normativi – ancora in evoluzione – e della necessità di formare un variegato numero di professionalità operanti nelle strutture sanitarie e delle mutate esigenze aziendali rappresenta una sfida sempre più presente [12].
Per le Aziende Sanitarie appare quindi essenziale: a) investire nel Risk Management e nella formazione avanzata di figure preposte; b) migliorare l’approccio all’errore e le competenze attraverso il commitment chiaro e l’utilizzo di tali figure, così da garantire un incremento della sicurezza dei pazienti e degli operatori; c) maggiore qualità dell’assistenza, che porta anche a risparmi: basti pensare ai costi che la cosiddetta medicina difensiva fa gravare sul sistema e sulle Aziende sanitarie pubbliche e private. Inoltre, gestire proattivamente i rischi e agire per ridurre le probabilità di errore dal punto di vista assicurativo significa anche ridurre i sinistri intesi come richieste di risarcimento del danno (sbagliare diventa più difficile e le conseguenze dell’errore sono mitigate). In sostanza, ridurre i sinistri e conseguentemente i contenziosi, conduce poi al contenimento dell’entità dei premi delle eventuali polizze assicurative sia per le strutture che per i singoli professionisti.
In conclusione il Risk Management in sanità si basa su un fondamento: apprendere dall’errore o dal “quasi errore”[13,14,15]. E questa deve essere la logica sottesa a qualsiasi intervento di formazione in questo specifico ambito. Se l’errore può epistemologicamente considerarsi come una componente ineliminabile dell’agire umano [6,7], esso in questa logica diviene fonte di conoscenza e miglioramento per evitare il ripetersi delle circostanze che hanno portato l’individuo a sbagliare e mettere in atto iniziative che riducano l’incidenza di errore [8].
Anna Arnone – Stampa & Comunicazione APSILEF
Bibliografia e sitografia
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5. Nicoli AM. L’empowerment nei servizi sanitari e sociali. Il Pensiero Scientifico Editore, Edizione 2012.
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10. https://www.ihi.org/resources/Pages/Tools/IHIGlobalTriggerToolforMeasuringAEs.aspx, consultato in data 28/01/2023.
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14. Christopoulos, D., Spanos, S., Ntouskos, V., & Karantzalos, K. (2024). TRACE: Transformer-based Risk Assessment for Clinical Evaluation. Artificial Intelligence in Medicine, 146, 102597. https://doi.org/10.1016/j.artmed.2024.102597
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