COMINCIAMO DAL LESSICO

COMINCIAMO DAL LESSICO

Dott.sa Eleonora Donadio

Infermiere Legale Forense

Consiglio direttivo APSILEF

Coord. Ufficio stampa e Comunicazione APSILEF

Ref.Gruppo regionale Emilia Romagna APSILEF

Il linguaggio è un indefettibile strumento di riequilibrio di genere.

Secondo la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul, ratificata dall’ Italia con la legge 77/2013), il primo e fondamentale passo per prevenire la violenza di genere è un cambiamento culturale basato sul superamento di stereotipi e pregiudizi e, sul riconoscimento e il rispetto delle differenze.

Le scelte linguistiche che, quotidianamente, vengono adottate, anche solo per routinarietà, a volte possono involontariamente annullare o anche escludere la presenza delle donne.

Se non si comincia a dire la direttrice o la avvocatessa o la primaria ecc .. quando è una donna a svolgere tali incarichi, sarà molto arduo superare il pregiudizio che vuole tali incarichi prettamente maschili.

L’ uso consapevole del femminile e del maschile nel linguaggio è fondamentale per la diffusione della cultura del rispetto.

L ‘Italia è stato uno dei primi paesi propugnatori della parità di genere.

Se volessimo fare una breve disquisizione di carattere informativo si deve rammentare che:

Nel 1986 la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Direzione generale delle informazioni della editoria e della proprietà letteraria artistica e scientifica pubblicava le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana. Per la scuola e per l’editoria scolastica”[1]. –Il frontespizio recava in testata Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna-.

Nel 2007 La Direttiva 23 maggio 2007 Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche, emanata per attuare la Direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio europeo cosi dispone: (le amministrazioni pubbliche devono) utilizzare in tutti i documenti di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti, ecc.) un linguaggio non discriminatorio come, ad esempio, usare il più possibile sostantivi o nomi collettivi che includano persone dei due generi (es. persone anziché uomini, lavoratori e lavoratrici anziché lavoratori).

Nel 2017, l’Accademia della Crusca,[2] pubblicava un saggio dal titolo “Quasi una rivoluzione. I femminili di professioni e cariche in Italia e all’estero.”

Sempre nel 2017 veniva istituito un gruppo di lavoro al MIUR con il compito di adottare azioni positive volte a “rimuovere le discriminazioni di genere nel  linguaggio promuovendo al contempo una semplificazione e maggiore chiarezza nella comunicazione sia interna che esterna”.

La questione non è di poco conto se si considera che nel 2018 il Parlamento Europeo (Gruppo di alto livello sull’uguaglianza di genere e la diversità) con le Linee guida di attualizzazione delle precedenti linee guida del 2008 formalizzava invito diretto agli Stati Membri ad adottare un linguaggio “equo ed inclusivo”..: precisando “L’uso di un linguaggio equo ed inclusivo in termini di genere, inoltre, aiuta a combattere gli stereotipi di genere, promuove il cambiamento sociale e contribuisce al raggiungimento dell’eguaglianza tra donne e uomini… influenza gli atteggiamenti, i comportamenti e le percezioni”.[3] Nella parte conclusiva del menzionato  documento di guideline  l’organo europeo  dichiarava “Il Parlamento europeo è impegnato a favore dell’uguaglianza di genere e della non discriminazione fondata sul genere. L’uso di un linguaggio sensibile al genere è una delle modalità con cui si esplica tale impegno.

Dal 2018, numerose amministrazioni hanno via via adottato guideline specifiche per l’uso del linguaggio di genere in ambito amministrativo.

Nel gennaio 2023 l’Accademia della Crusca veniva interpellata dal Comitato Pari Opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione sulla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari in riferimento al l’articolo 121 del C.p.C novellato dalla riforma Cartabia.[4]

La risposta dell’Accademia della Crusca, sebbene specifica per gli atti giudiziari, può essere estesa a tutto il linguaggio pubblico.

L’adozione di strategie linguistiche che rendano individuabile il genere femminile o l’utilizzo di nomi collettivi che soddisfino in maggior misura il principio di inclusività è ormai materia condivisa.


[1] https://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/documenti/Normativa%20e%20Documentazione/Dossier%20Pari%20opportunit%C3%A0/linguaggio_non_sessista.pdf

[2] l’Accademia della Crusca in Italia e nel mondo è uno dei principali punti di riferimento per le ricerche sulla lingua italiana. La sua attività presente punta ai seguenti obiettivi:

  • sostenere, attraverso i suoi Centri specializzati e in rapporto di collaborazione e integrazione con le Università, l’attività scientifica e la formazione di nuovi ricercatori nel campo della linguistica e della filologia italiana;
  • acquisire e diffondere, nella società italiana e in particolare nella scuola, la conoscenza storica della nostra lingua e la coscienza critica della sua evoluzione attuale, nel quadro degli scambi interlinguistici del mondo contemporaneo;
  • collaborare con le principali istituzioni affini di Paesi esteri e con le istituzioni governative italiane e dell’Unione Europea per la politica a favore del plurilinguismo del nostro continente. https://accademiadellacrusca.it/

[3] https://www.europarl.europa.eu/cmsdata/187102/GNL_Guidelines_IT-original.pdf

[4] https://accademiadellacrusca.it/Media?c=54099131-d9f9-4f94-b999-e7aa4646b317

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