Cartella clinica aggiornata ad intermittenza? E’ falso in atto pubblico
Integra il reato di falso in atto pubblico l’annotazione «ora per allora» apposta sulla cartella clinica del paziente, essendo del tutto irrilevante la veridicità del contenuto della modifica. Precisato che la cartella clinica rappresenta un vero e proprio “diario” contenente tutti i fatti clinici correlati alla malattia del paziente, la falsità punibile si estende anche alle annotazioni effettuate in un momento successivo senza una valida ragione. E’ quanto emerge dalla sentenza 11 settembre 2013, n. 37314 della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Nel caso di specie una dipendente ospedaliera è stata sottoposta a procedimento penale per il reato di falso materiale in atto pubblico (art. 476, c.p.), per aver apposto, a distanza di molto tempo, una dicitura specifica su una cartella clinica relativa all’esito di un esame della quale il paziente non era stato notiziato. All’esito del giudizio di primo grado il Gip assolveva l’imputata, ritenendo assente l’elemento soggettivo del reato, sul presupposto della natura sostanzialmente veritiera della aggiunta apposta sulla cartella clinica, a nulla rilevando la ritardata comunicazione al paziente di quanto rettificato.
I giudici di appello ritenevano, invece, che l’aggiunta incriminata dovesse considerarsi penalmente rilevante, non potendosi ammettere integrazioni della cartella clinica dei pazienti con efficacia «ora per allora», se si considera come la funzione tipica della cartella sia quella di rappresentare, sotto forma di «diario», l’esatto decorso dello stato di salute dell’interessato.
Secondo gli ermellini, in primo luogo, non può dubitarsi della natura di atto pubblico della cartella clinica redatta dal medico di una struttura sanitaria pubblica, in ogni parte di essa, avendo natura di atto pubblico munito di fede privilegiata, con riferimento alla sua provenienza dal pubblico ufficiale e ai fatti da questi attestati come avvenuti in sua presenza; l’atto adempie alla funzione di diario della malattia e di altri fatti clinici rilevanti.
Sulla basi di tali considerazioni, a parere dei giudici della Quinta Sezione Penale, “sussiste il reato di falso ogni qual volta si intervenga con modifiche su di un atto già definitivamente formato, pur quando l’intento dell’agente sia quello di renderne il contenuto conforme al vero. Se così è, ne deriva che la coscienza e la volontà di operare un tale intervento non può non equivalere a quella di realizzare una diretta, effettiva e riconoscibile lesione proprio del bene giuridico protetto dalla norma, a nulla rilevando che, per mero errore di diritto circa la effettiva portata della norma medesima, di detta lesione il soggetto possa non avere piena consapevolezza“.
I dati del paziente oltre che corrispondenti al vero, devono essere annotati nello specifico momento in cui rilevano; la cartella, infatti, acquisisce carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione “ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata“.
Cartella clinica, atto pubblico, sanitario, pubblico ufficiale, aggiunta, falso materiale
La cartella clinica, redatta da un sanitario di un ospedale pubblico, è caratterizzata dalla produttività di effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla funzione della documentazione di attività compiute (o non compiute) dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità. Ne deriva che le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni integrano falsità in atto pubblico, punibili in quanto tali. Nessun rilievo può essere riconosciuto all’intento dell’autore, posto che la fattispecie è caratterizzata da dolo generico e non da dolo specifico. (Fattispecie in cui è risultato accertato che successivamente alla data indicata nel diario giornaliero erano stati indicati fatti non contestualmente al loro verificarsi. In tal modo, il diario clinico, dopo la sua definitiva formazione, la contestuale fine dell’analisi clinica e delle disposizioni terapeutiche del medico, dopo l’uscita del documento dalla disponibilità integrativa del suo autore, ha subito successivamente un’aggiunta, che ne ha alterato il contenuto e conseguentemente la funzione. E’ stato pertanto ritenuto sussistente il falso materiale ex art. 476 c.p.)
Sanitario altera la cartella clinica? Condannato per falso in atto pubblico
La sentenza 21 novembre 2011, n. 42917 della Cassazione contribuisce a puntualizzare le modalità di tenuta della cartella clinica da parte del medico ospedaliero, individuando i profili di responsabilità penale in ordine alla sua compilazione.
La cartella clinica può essere definita come “documento che contiene, oltre ai dati anagrafici, tutti gli atti e le annotazioni concernenti le prestazioni sanitarie effettuate sulla persona ricoverata; quindi consiste nella registrazione dei rilievi clinici, degli indirizzi diagnostici e dei dispositivi terapeutici: è una costante certificazione di ciò che si rileva e ciò che si fa”. (1)
La cartella clinica, che va annoverata nella categoria degli atti pubblici, e dalla dottrina giuridica considerata di composita natura (atto giuridico dovuto, atto ricognitivo consistente in una dichiarazione di scienza, verbalizzazione), trova del DPR n. 128 del 27 marzo 1969 un importante riferimento normativo. L’art. 7 di detto decreto attribuisce al direttore dell’U.O. la responsabilità della regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione.
Nel caso venuto all’esame della corte di Cassazione si è accertato che il medico, successivamente alla data indicata nel diario giornaliero, ha indicato dei fatti non contestualmente al loro verificarsi: da ciò la condanna ad otto mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 476 c.p, che punisce il pubblico ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto od in parte, un atto falso o altera un atto vero. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede sino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni.
I dati personali contenuti nella cartella clinica debbono essere leggibili
Se la cartella clinica è illeggibile per la grafia di chi l’ha redatta, deve essere trascritta in modo che le informazioni in essa contenute risultino chiare per il malato. La leggibilità delle informazioni è la prima condizione per la loro piena comprensione.
Lo ha precisato l’Autorità Garante accogliendo il ricorso di un paziente che lamentava un riscontro inadeguato da parte dell’azienda ospedaliera cui si era rivolto chiedendo la comunicazione in forma intelligibile dei dati personali contenuti nella sua cartella clinica. In risposta aveva ricevuto copia della cartella che, però, a suo parere, risultava illeggibile per la pessima grafia degli autori e quindi incomprensibile.
Falsità ideologica del sanitario che non menziona un evento nella cartella clinica
La Suprema Corte affronta il problema della falsità ideologica in atti, nei quali si tace su un evento, che è invece regolarmente attestato; in virtù dell’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 479 c.p. nel caso specifico si è condannato un medico che nel descrivere nella cartella clinica l’intervento di amniocentesi aveva omesso di menzionare l’effettuazione di un primo prelievo ematico.
Difatti la Corte sottolinea la valenza della cartella clinica, la quale “redatta da un medico di un ospedale pubblico è caratterizzata dalla produttività di effetti incidenti su situazione soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione di attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità: trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario dell’intervento medico e dei relativi fatti clinici rilevanti, sicché i fatti devono essere annotati conformemente al loro verificarsi“.
Fonte: Altalex