Turni di lavoro gravosi e disponibilità oltre al limite contrattuale? giusto il risarcimento per danno biologico

SENTENZA n. 7840 del 29/3/2018

CORTE CASSAZIONE LAVORO – Cassazione civile, sez. lav.,

La sentenza gravata, sotto questo profilo, ha fatto c applicazione del consolidato orientamento di questa Corte, il quale ritiene che il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria escludendo che i vari nomina iuris che lo contraddistinguono possano essere invocati singolarmente con l’intento di aumentarne il quantum (Cass. n. 687/2014). Il danno biologico, inteso come lesione alla salute, quello morale, cioè la sofferenza interiore e quello dinamico-relazionale, definibile come esistenziale, costituiscono, dunque, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le componenti dell’unitario danno non patrimoniale e danno luogo ad una valutazione globale e non già atomistica per singoli tipi. “…Ne consegue che, in caso di mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, occorre che il ricorrente, in sede di impugnazione della sentenza, non si limiti ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma che articoli chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale ricavato in applicazione delle cosiddette “tabelle di Milano”, delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come “danno biologico”, risultando, in difetto, inammissibile la censura atteso il carattere tendenzialmente omnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle.” (Cass. n.20111/2014). Di detto accertamento la Corte d’Appello ha dato puntualmente conto, là dove ha affermato che gli appellanti si erano limitati a chiedere la liquidazione del danno biologico tout court, senza specificare ulteriormente l’autonomo peso che i fattori derivanti dalla sofferenza interiore e dalle limitazioni alla vita di relazione avrebbero avuto sulla quantificazione dello stesso.
 

FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione di prime cure, ha accolto la pretesa risarcitoria di B.M. e L.M. nei confronti dell’Azienda Usl di Latina, per la violazione dell’obbligo di protezione derivante dalla utilizzazione delle prestazioni dei sanitari nel servizio turni di disponibilità ben oltre il limite contrattuale. La Corte territoriale, recependo le risultanze della CTU che aveva diagnosticato ai lavoratori una sindrome psicopatologica ansioso-depressiva con nucleo attivo e persistente, ha riconosciuto il risarcimento per danno biologico, e gli ulteriori danni non patrimoniali quale diretta conseguenza dell’illecito. La Corte territoriale ha proceduto a una valutazione unitaria del danno, attribuendo ai lavoratori un’invalidità complessiva dell’8% per postumi permanenti, e rigettando la domanda di riconoscimento del superiore tasso per l’invalidità parziale procurata in fase acuta, sul presupposto che detta domanda non fosse stata dagli appellanti specificamente proposta nel giudizio di primo grado.

Avverso tale decisione interpongono ricorso B.M. e L.M. con quattro censure, illustrate da memoria, mentre l’Azienda Usl di Latina rimane intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima censura parte ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non aver distinto – la sentenza gravata – l’invalidità temporanea da quella di natura permanente.

La sentenza è censurata sotto il profilo del vizio di motivazione per avere la CTU valutato il danno biologico nel suo complesso senza aver tenuto conto che il danno causato in fase acuta avrebbe determinato un’invalidità temporanea superiore all’8%, il quale, se calcolato in misura adeguata, sarebbe stato risarcibile separatamente da quello permanente, con l’unico limite della commisurazione della liquidazione complessiva del danno alla sua reale entità.

Con la seconda censura si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. e art. 115 c.p.c.. Omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione relativamente al danno morale ed esistenziale con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non aver riconosciuto nell’ambito del danno biologico anche un danno morale ed esistenziale. La sentenza gravata è censurata per non aver riconosciuto, nell’ambito del danno biologico, anche un profilo risarcibile di natura morale ed esistenziale quale diretta conseguenza dell’illecito.

Con la terza doglianza, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. in ordine alla domanda di danno patrimoniale relativa alla mancata corresponsione dell’indennità sostitutiva di congedo straordinario ex L. n. 460 del 1988.

Con la quarta censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – e in subordine – si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. per aver ritenuto la pronuncia gravata inammissibile la domanda per la causale specificata nella terza doglianza, tempestivamente proposta in primo grado.

Parte ricorrente deduce che la Corte d’Appello ha erroneamente omesso di riconoscere il danno patrimoniale causato dal mancato versamento della superiore retribuzione per le ore di pronta disponibilità eccedenti quelle contrattuali, così come per le ore di lavoro straordinario e festivo.

La prima censura è inammissibile.

Sebbene formulata ai sensi dell’art. 360 codice di rito, n. 5 essa contesta la qualificazione, da parte della Corte d’Appello, dell’invalidità subita dai sanitari per lavoro prestato oltre il normale orario di servizio ed accertata dalla CTU medica, ai fini della quantificazione dell’indennità risarcitoria, dunque contesta il convincimento del Giudice sotto il profilo del diritto e non già del fatto.

Tuttavia, pur in relazione a tale diversa e più rigorosa prospettazione, la motivazione della pronuncia non ammette censura. La Corte d’appello ha accertato infatti che “…i due sanitari sono stati sottoposti per un periodo sicuramente non breve a turni di servizio obiettivamente gravosi e spesso continuativi per la necessità di “coprire” in due, oltre al servizio ordinario, anche quello di pronta disponibilità”. Richiamandosi alla relazione medico peritale, ha quindi accertato che l’importante sintomatologia patologica di tipo ansioso depressivo, insorta quale conseguenza della grave discrasia organizzativa subita, “…pur avendo fatto riscontrare qualche attenuazione, dopo gli intervenuti miglioramenti della situazione lavorativa, ha ancora un suo nucleo attivo e persistente…” (p. 3 sent.). Infine, sulla base sia delle caratteristiche della vicenda lavorativa sia degli esiti dell’esame medico, ha ritenuto di respingere il rilievo in ordine al mancato calcolo delle giornate di invalidità parziale e totale ai fini del quantum risarcitorio, recependo la valutazione peritale del danno biologico nella misura dell’8 per cento e precisando che dalle difese degli appellanti non si evinceva in che misura il mancato accertamento dello specifico numero dei giorni di invalidità parziale e totale avrebbe potuto riflettersi sulla percentuale indicata dal CTU, frutto di una valutazione complessiva. La prima censura non si confronta con tale puntuale ratio decidendi, e, pertanto, non può essere presa in considerazione in sede di legittimità.

La seconda censura non merita accoglimento.

Essa contesta il mancato riconoscimento da parte dei Giudici dell’appello del danno morale ed esistenziale causato dall’alterazione dei modi e dei ritmi quotidiani di vita dei sanitari per l’avvicendarsi di turnazioni eccedenti l’orario di servizio. Il motivo neanche in questo caso censura adeguatamente la decisione gravata, la quale ha liquidato il danno biologico sul corretto presupposto della sua unitarietà ai fini del ristoro dell’illecito, personalizzandolo in base alle peculiarità della vicenda lavorativa e agli esiti dell’esame medico.

La sentenza gravata, sotto questo profilo, ha fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di questa Corte, il quale ritiene che il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria escludendo che i vari nomina iuris che lo contraddistinguono possano essere invocati singolarmente con l’intento di aumentarne il quantum (Cass. n. 687/2014). Il danno biologico, inteso come lesione alla salute, quello morale, cioè la sofferenza interiore e quello dinamico-relazionale, definibile come esistenziale, costituiscono, dunque, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le componenti dell’unitario danno non patrimoniale e danno luogo ad una valutazione globale e non già atomistica per singoli tipi. “…Ne consegue che, in caso di mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, occorre che il ricorrente, in sede di impugnazione della sentenza, non si limiti ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma che articoli chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale ricavato in applicazione delle cosiddette “tabelle di Milano”, delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come “danno biologico”, risultando, in difetto, inammissibile la censura atteso il carattere tendenzialmente omnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle.” (Cass. n.20111/2014). Di detto accertamento la Corte d’Appello ha dato puntualmente conto, là dove ha affermato che gli appellanti si erano limitati a chiedere la liquidazione del danno biologico tout court, senza specificare ulteriormente l’autonomo peso che i fattori derivanti dalla sofferenza interiore e dalle limitazioni alla vita di relazione avrebbero avuto sulla quantificazione dello stesso.

Neanche la terza censura merita accoglimento.

La Corte territoriale, quanto al danno patrimoniale, non ha evidentemente omesso di pronunciare sul punto, come vorrebbero i ricorrenti, avendo motivato il rigetto della domanda degli appellanti con il difetto di proposizione in primo grado della stessa (p. 4 sent).

La quarta ed ultima censura è assorbita.

In definitiva, non meritando le censure accoglimento, il ricorso deve essere rigettato, senza provvedere sulle spese in mancanza di difesa dell’intimato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Udienza, il 11 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2018

http://www.legalcorner.it/sentenze/%7B908D00E0-382E-11E8-9698-323733323831%7D

 

 

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