“Responsabilità del datore di lavoro per avere anche solo colposamente omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute del lavoratore”.

Dott.sa Eleonora Donadio

Infermiere Legale Forense

Consiglio direttivo APSILEF

Coord. Ufficio stampa e Comunicazione APSILEF

Con le seguenti sei ordinanze

  1. n. 2084 del 19 gennaio 2024;
  2. n. 2870 del 31 gennaio 2024;
  3. n. 3791 del 12 febbraio 2024;
  4. n. 3822 del 12 febbraio 2024;
  5. n. 3856 del 12 febbraio 2024;
  6. n. 4279 del 16 febbraio 2024;

quasi tutte oggetto di pronuncia da parte dallo stesso collegio si assiste al mutamento di prospettiva degli Ermellini di piazza Cavour rispetto all’ accertamento dell’elemento oggettivo o soggettivo posto alla base del mobbing.

Il responso è stato unanime: lo scrutinio del giudice di merito non può limitarsi solamente al mancato accertamento dell’elemento oggettivo o soggettivo alla base dell’invocato mobbing. Al contrario il giudice di merito deve “valutare e accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per avere anche solo colposamente omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute del lavoratore.

Con le ordinanze n. 3791 del 12 febbraio 2024 e n. 4279 del 16 febbraio 2024, la suprema Corte segna “un punto di svolta”, ponendo al centro del proprio scrutinio i fattori organizzativi e ambientali, ed ascrivendo alla responsabilità ex art. 2087 c.c. la condotta del datore di lavoro che non abbia impedito né rimosso un “clima lavorativo teso e caratterizzato da reciproche incomprensioni”(cfr. Cass. 16 febbraio 2024, n. 4279) e un “contesto di conflittualità all’interno dell’istituto”(cfr. Cass. 12 febbraio 2024, n. 3791).

Le summenzionate ordinanze danno rilievo al dovere del datore di lavoro, non solo di rimuovere ma anche di prevenire la conflittualità delle relazioni personali all’interno dell’ambiente lavorativo (Cfr. Cass. n. 4279 del 16 febbraio 2024; cfr. Cass. n. 3791 del 12 febbraio 2024), inserendosi nell’alveo di un filone giurisprudenziale che afferma l’obbligo datoriale di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative (cfr. Cass. n. 26684 del 10 novembre 2017).

Cosi che ignorare colposamente l’esistenza di rapporti conflittuali nei luoghi di lavoro fino al punto di rendere l’ambiente lavorativo nocivo, stressogeno e fonte di concreti pregiudizi psico-fisici a danno dei dipendenti, rende il datore di lavoro censurabile alla stessa stregua in cui realizzi scientemente delle vessazioni.

Il cambiamento di paradigma introduce un orientamento giurisprudenziale diretto “ad ampliare la tutela risarcitoria in favore del lavoratore, giudicando le situazioni con obiettività al di là della semplicistica alternativa conflittualità/vessazione.

Infatti, di particolare rilevanza il principio enunciato proprio da una delle summenzionate pronunce che sottolinea come il giudice debba comunque tenere in debita considerazione il fatto che “la reiterazione, l’intensità del dolo o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento”(cfr. Cass. n. 2084 del 19 gennaio 2024).

Il braccio della quantificazione risarcitoria dovrà muoversi, pertanto, tra illeciti derivanti da semplice negligenza e imperizia (quale ad esempio la colpevole inerzia nel caso di tolleranza della generica conflittualità lavorativa) e delle condotte persecutorie connotate da sistematicità ed intenzionalità (mobbing, straining, stalking occupazionale etc.), che segneranno rispettivamente il limite minimo e quello massimo del risarcimento.

Il fil rouge che lega i provvedimenti in esame è l’adozione di una prospettiva sistemica e obiettiva che, ampliando il raggio operativo dell’art. 2087 c.c., consente di dare rilievo e conseguentemente di riconoscere adeguata tutela rispetto agli ambienti lavorativi nocivi e stressogeni.

Ampliamento che la Suprema Corte convalida con il riconoscimento della responsabilità datoriale per la mancata prevenzione e rimozione della conflittualità delle relazioni personali, in violazione dell’ obbligo di intervenire per garantire ed eventualmente ristabilire la serenità necessaria al corretto espletamento delle prestazioni lavorative.

In conclusione, la centralità dello stress lavorativo come fattore di rischio, già codificata dal legislatore attraverso l’obbligo di preventiva valutazione dei rischi delineato dal comma 1 dell’art. 28 del d.lgs. 81/2008, implica un notevole ampliamento dei doveri di prevenzione e protezione a carico del datore di lavoro.

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