Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 26/04/2016 n° 8245
In ambito di organi collegiali, ad eccezione di quelli giurisdizionali, un collegio deve intendersi perfetto solo quando la legge, esplicitamente o implicitamente, lo disponga. In un collegio perfetto, la presenza di tutti i suoi componenti è necessaria soltanto per le attività decisorie e non anche per quelle preparatorie, istruttorie o strumentali verificabili a posteriori dall’intero consesso.
Questi i principi affermati dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 8245 del 24 aprile 2016 in commento.
Il caso sottoposto all’attenzione degli ermellini ha riguardato un dipendente pubblico licenziato all’esito dell’iter procedimentale esperito a norma dell’art. 55 bis (“Forme e termini del procedimento disciplinare”) del d.lgs. n. 165/2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).
L’audizione a difesa del lavoratore incolpato, infatti, era avvenuta alla presenza di soli due dei tre componenti dell’Ufficio preposto all’esperimento del procedimento disciplinare, mentre il provvedimento espulsivo era stato adottato dal collegio nella sua interezza.
La Corte d’Appello milanese, riformando la sentenza di prime cure, ha dichiarato la nullità del recesso operato dal Ministero, ritenendo viziato l’iter procedimentale osservato, dal momento che l’Ufficio individuato dall’Amministrazione pubblica come competente doveva considerarsi quale collegio perfetto. Di conseguenza, disponeva la reintegrazione del pubblico dipendente nel proprio posto di lavoro, con condanna dell’Amministrazione datrice di lavoro al risarcimento dei danni patiti, oltre al versamento dei contributi previdenziali.
La Cassazione, invece, ha accolto il ricorso ministeriale con una decisione che si è posta in linea di continuità sia con i propri precedenti in materia (vedasi Cassazione civile, Sezioni Unite, n. 603/99 e Cassazione civile, Sezioni Unite, n. 39/99), sia con quelli della giurisprudenza amministrativa (vedasi Consiglio di Stato n. 2500/14; Consiglio di Stato n. 3363/11).
Preliminarmente è stato ribadito il principio secondo cui la valutazione in ordine alla necessità o meno della partecipazione di tutti i componenti di un organo collegiale per la validità delle relative deliberazioni è una questione che deve essere risolta caso per caso, non potendosi trarre dal nostro ordinamento un principio di carattere generale (né richiamare l’antico brocardo latino secondo cui duo non faciunt collegium).
Al riguardo, l’art. 55 bis, co. 4 del d.lgs. n. 165/2001 si limita a stabilire che “ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari” non stabilendo nulla di preciso in ordine alla composizione dell’organo stesso.
Secondo la Corte, nella fattispecie in esame, non si può parlare di collegio perfetto, non essendovi neppure riscontro dei suoi principali criteri identificativi, quali la previsione di componenti supplenti accanto a quelli effettivi ai fini di garantire la continuità del funzionamento del collegio stesso o l’infungibilità dei componenti dell’organo data dalla presenza di professionalità complementari tra di loro.
In ogni caso, il principio del collegio perfetto riguarderebbe solo le attività valutative e deliberative e non anche quelle preparatorie, istruttorie o strumentali tra le quali – a detta degli ermellini – rientra, senza dubbio, l’audizione a difesa dell’incolpato nell’ambito del procedimento disciplinare, fase che può essere oggetto di verifica ex post da parte dell’intero collegio.
Pertanto, l’eventuale qualificazione dell’Ufficio disciplinare come organo perfetto non avrebbe comunque giovato alla difesa del lavoratore interessato dal licenziamento.
L’organo collegiale composto da tre persone, invero, una volta costituito può legittimamente deliberare a condizione che il numero dei suoi componenti non scenda al di sotto del quorum, salvo che la legge non disponga diversamente.
Unico limite è dato dalla monocraticità la quale elude i principi di efficienza ed imparzialità sottesi alla prescrizione normativa della collegialità (si veda, in merito, anche Cassazione civile, sez. lavoro, n. 24157/15 che ha dichiarato la nullità del procedimento disciplinare avviato, istruito e concluso da uno solo dei componenti dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari previsto in composizione collegiale).
Il diritto di difesa del lavoratore, dunque, non presenta alcuna connessione con il numero di persone che in concreto ascoltano e verbalizzino le giustificazioni rese a sostegno dell’infondatezza degli addebiti.
L’unico aspetto di rilievo è che l’atto finale del procedimento, ovvero l’irrogazione della sanzione disciplinare, venga adottato dal collegio nella sua completa composizione (circostanza pacificamente sussistente nel caso in esame).
La Cassazione ha così rinviato ad altra corte di merito la decisione da rendersi in conformità con i principi di diritto enunciati e più sopra riferiti.
Altalex, 19 agosto 2016. Nota di Ilaria Borrelli