La Cassazione “qualifica” l’Infermiere Professionale

La Cassazione delinea in maniera chiara e specifica la posizione dell’infermiere specializzato precisando che esso è da considerarsi come vero e proprio professionista dotato di autonomia decisionale e organizzativa.

Commento a Cassazione Penale N. 2541 del 21 gennaio 2016

Mai come nell’attuale momento storico la figura dell’infermiere è posta al centro delle attenzioni. Da un lato, c’è chi continua a ricondurre l’infermiere alla figura di fedele assistente del medico nelle esecuzioni di compiti di cura della “persona” malato. Dall’altro, vi sono le associazioni professionali e molti singoli professionisti, che reclamano a gran voce un ruolo più centrale, il riconoscimento di una professionalità assolutamente unica e specifica, la cancellazione di ogni concetto di “asservimento” al medico, al management sanitario, e alle Asl.

Ebbene, a parere di chi scrive, è indubbio che l’infermiere sia da considerarsi quale vero e proprio professionista e protagonista del sistema sanitario. Esso è depositario di conoscenze specifiche, di professionalità, di un know-how che non è solo nozionistico, ma si basa su anni di rapporto diretto, stretto, unico, con il paziente. Tutto ciò lo rende un soggetto attivo nelle fasi di cura e, soprattutto, un ottimo osservatore e, quindi, un ottimo consigliere nel miglioramento e nella risoluzione di tutti gli aspetti inerenti i processi assistenziali.

Naturalmente, tale ruolo centrale, oltre a portare con sé l’onore del riconoscimento, grava l’infermiere dell’onere della responsabilità.

E’ questo il concetto alla base della decisione in discorso che, sul solco di un orientamento costante in tema di responsabilità sanitaria omissiva, riconosce l’infermiere quale legittimato passivo di una richiesta di risarcimento danni con conseguente responsabilità penale dello stesso, al posto del medico. Ciò mostra come sia ormai scardinato quel meccanismo che riconduceva sempre e comunque al medico la responsabilità di ciò che accadeva nei reparti ed ai propri pazienti, a favore di una personalizzazione degli addebiti sulla base, appunto, delle specifiche qualità professionali delle singole figure.

Ma andiamo con ordine. Il caso prende le mosse dalla morte di un paziente ricoverato in un reparto di terapia intensiva cardiologica. Il malcapitato, era stato collegato ad un nuovo macchinario per la rilevazione dei parametri vitali che prevedeva l’attivazione manuale degli allarmi che, se non attivati, restavano in stand-by. Ebbene, la mancata attivazione dei detti allarmi, fece sì che pur in presenza di un arresto cardiaco, il macchinario non segnalò alcuna anomalia con conseguente decesso del detto paziente.

Naturalmente, venne accusato il medico (primario) per la commessa omissione riscontrabile non solo nel mancato controllo dell’operato degli ausiliari, ma anche per la mancata organizzazione di corsi specifici sul nuovo macchinario. Ebbene, in primo  grado il detto medico venne assolto, salvo poi essere condannato per omicidio colposo in secondo grado.

Gli ermellini, nel dirimere la vicenda, hanno analizzato la figura dell’infermiere  specificando che, lo stesso non è considerabile come semplice ausiliario del medico, ma al contrario, è egli stesso un professionista sul quale grava ogni forma di responsabilità. Fra queste, rientra senza dubbio la responsabilità omissiva che deriva dalla particolare posizione di garanzia che l’infermiere ha nei confronti del paziente e che è autonoma rispetto alla posizione del medico.

Con la sentenza in discorso, quindi, la Cassazione delinea in maniera chiara e specifica la posizione dell’infermiere specializzato precisando che esso è da considerarsi come vero e proprio professionista dotato, soprattutto in reparti come la terapia intensiva, di autonomia decisionale e organizzativa, oltre che di conoscenze specifiche che lo rendono in grado di intervenire senza l’ausilio del medico in caso di comparsa di situazioni di crisi per il paziente.

Da tale autonomia, discende in maniera diretta e non mediata, la responsabilità degli infermieri stessi.

A chiusura della sentenza, gli Ermellini, chiariscono che la preparazione degli infermieri sui macchinari non è responsabilità dei primari che non hanno obblighi formativi da far rispettare o da assolvere nei confronti del personale sanitario. Ci si potrebbe chiedere, allora, a chi spetti tale responsabilità? Ebbene la risposta, a parere del sottoscritto, si trova in una norma specifica, ovvero, la Legge n°412/91 che riguarda i compiti e le responsabilità del Direttore Sanitario. Ad esso spetta, infatti, la verificazione non solo del corretto funzionamento dei macchinari, ma anche del possesso dei titoli e delle conoscenze specifiche del personale in servizio presso la struttura. Da ciò dovrebbe derivare anche l’obbligo di prevedere apposita formazione sull’utilizzo dei macchinari in dotazione presso la struttura o la scelta di personale che sia fornito a priori di certificazioni riguardanti l’utilizzo dei macchinari stessi.

 

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