Intervento chirurgico di osteosintesi – sepsi – responsabilità per osteomielite cronica

Tribunale Napoli, sez. VIII, 27/09/2016  sentenza  n. 10440 

Se “infezione dei mezzi di sintesi, rappresenta una complicanza ben descritta in letteratura dopo il loro posizionamento e dunque di per sé non risarcibile, nel caso de quo tale sepsi finisce per essere escomiata sostanzialmente dal novero delle complicanze. Infatti la sepsi riscontrata nel post – operatorio certamente è stata favorita sia dall’omissione della profilassi antibiotica perioperatoria, sia dal successivo errore di diagnosi, quando nel corso del controlli ambulatoriali post – operatori non veniva riconosciuta e, conseguentemente, adeguatamente trattata, con ritardo nella diagnosi definitiva responsabile di un aggravamento del quadro settico che ha poi sostenuto “Insorgenza dell’osteomielite cronica”.

omissis

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il dott.———, il giorno —– ottobre—-, alle ore —— circa, mentre era alla guida del proprio motoscooter. in ——— in Napoli, nell’accostarsi al marciapiede, si distraeva e rimaneva con la caviglia sinistra incastrata tra la pedana dello scooter ed il marciapiede destro cadendo rovinosamente al suolo. Soccorso da alcuni passanti veniva trasportato con una autoambulanza del 118 presso il pronto soccorso dell’Ospedale del Buon Consiglio Fatebenefratelli di Napoli, nosocomio che lasciava di sua volontà contro il parere dei sanitari apponendo la propria firma sul referto, a, causa della mancanza dì posto letto e si recava presso il Centro Traumatologico Ortopedico (CTO) di Napoli dove, dopo la visita e gli esami strumentali del caso, veniva fatta diagnosi di” frattura del pilone tibiale sx” e disposto il ricovero presso la 1^ Divisione di Ortopedia, con cartella clinica n. 5163. Nel corso del ricovero al dott. ———– veniva posizionata trazione trans – scheletrica che manteneva sino al giorno 23 ottobre 2003, quando veniva sottoposto ad intervento chirurgico di osteosintesi con placche e viti di frattura del pilone tibiale SX. Veniva dimesso in data 28 ottobre 2003 con “…prescrizione e prosieguo cure ambulatoriali…”. Seguivano controlli ambulatoriali presso il CTO in data 10 novembre 2003 e 21 novembre 2003 nel corso del quale si provvedeva alla rimozione della doccia gessata ed alla rimozione del punti di sutura. Nel successivo controllo ambulatoriale avvenuto in data 12 dicembre 2003 presso il CTO, dopo la medicazione della cicatrice chirurgica mediale si autorizzava il dott. ——–ad ……. iniziare il carico sfiorante con l’ausilio di bastoni ..:. Seguivano ulteriori controlli ambulatoriali con prescrizione di fisiokinesiterapia fino al controllo effettuato in data 29 gennaio 2004 presso l’ambulatorio di Ortopedia e Traumatologia dal CTO di Napoli, nel corso dal quale, per la prima volta, …… si medica una piccola deiscenza della ferita … dalla quale fuoriusciva secrezione. Seguivano diversi ulteriori controlli ambulatoria” con prescrizione di terapia antibiotica a largo spettro per …… sepsi superficiale con esiti recenti di frattura dal pilone tibiale a sinistra ….ed esame culturale dal secreto proveniente dalla ferita chirurgica che evidenziava la presenza di una colonizzazione da …….staphylococcus hominis …” per il quale veniva effettuato il relativo antibiagramma ed assenza di colonizzazione da parte di germi anaerobi. Nonostante la terapia antibiotica attuata, il dottor ——– non riscontrava alcun miglioramento dal quadro clinico per cui, lo stesso, dopo essersi sottoposto a nuova visita ortopedica presso l’Azienda Ca. di Napoli, nel corso dalla quale veniva riscontrata la presenza di una … intolleranza ai mezzi di sintesi e tragitto fistoloso …. in data 21 settembre 2004 si ricoverava presso l’Azienda Ospedaliera San Sebastiano di Caserta per … intolleranza ai mezzi di sintesi tibio – tarsica sx … ” dove, in data 22 settembre 2004 veniva sottoposto ad intervento chirurgico di “… rimozione dei mezzi di sintesi (2 placche e viti) ….”. La dimissione del dott. ——- avveniva il 23 settembre 2004 con terapia medica domiciliare.
Purtuttavia, da tale data in poi il dott.——- subì molteplici ricoveri ed interventi chirurgici (in totale 16) resisi necessari per la presenza di una Osteomielite cronica della tibia sinistra con sequestri ossei, insorta a seguito dell’infezione dei mezzi di osteosintesi posizionati nel corso dell’intervento chirurgico del 23 ottobre 2003 e sostenuta da diversi ceppi batterici, primo fra tutti lo Staphylococous Aureus, documentato da molteplici esami colturali e mai del tutto emendata.
Con atto di citazione proposto innanzi al Tribunale di Napoli chiedeva il risarcimento di tutti i danni patiti.
Si costituiva l’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro chiedendo il rigetto della domanda siccome infondata in fatto e in diritto.
Intervengono volontariamente ——– coniuge dell’attore, e ———- e ————, figli dello stesso, deducendo la sussistenza di danni propri e chiedendo il relativo risarcimento.
La causa veniva istruita tra l’altro con espletamento di consulenza tecnica di ufficio e riservata in decisione all’udienza del 9.12.2015 previa concessione dei termini ex art. 190 cpc.
2. La domanda giudiziale di parte attrice è fondata e merita, pertanto, di trovare accoglimento, nei sensi che vengono di seguito precisati. Ed invero, devono anzitutto essere richiamati gli approdi della giurisprudenza di legittimità in punto di responsabilità professionale sanitaria, dai quali non si ravvisano ragioni per discostarsi nel caso di specie. La responsabilità dell’ente ospedaliero nei confronti del paziente ha, infatti, natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., oltre che all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, anche, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ. (disposizione con cui è stata estesa nell’ambito contrattuale la disciplina contenuta negli art. 2048 e 2049 cod. civ., Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2001, n. 67560), all’inadempimento della prestazione medico – professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario (e ciò anche in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale: Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13066). Sul piano processuale, in tema di responsabilità civile nell’attività medico – chirurgica, le conseguenze scaturenti dal principi appena evidenziati sono da ravvisarsi nel fatto che il paziente che agisca in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto o il “contatto sociale” ed allegare l’inadempimento del professionista, che consiste nell’aggravamento della situazione patologica del paziente o nell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura la dimostrazione dell’assenza di colpa e, cioè, la prova del fatto che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297). Con la precisazione, altresì, che, pur gravando sull’attore l’onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agii esperti del settore (Casso civ., sez. III, 19 maggio 2004, n. 9471). Nondimeno, a fronte dall’allegazione dell’attore di inadempimento od inesatto adempimento, a carico del sanitario, o dell’ente, resta sempre l’onere probatorio relativo sia al grado di difficoltà della prestazione (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23918), sia all’inesistenza di colpa o di nesso causale; in proposito è stato anche di recente ribadito che è a carico del debitore (sanitario e/o ente) dimostrare che “inadempimento non vi è alato o che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. civ., sez. III. 14 febbraio 2008, n. 3520). In assenza di detta prova, sussiste la responsabilità del medico e/o della struttura sanitaria. Orbene, è appena il caso di evidenziare come gli elementi circostanziali relativi ai ricoveri ed agli interventi chirurgici subiti dall’attore, oltre ad essere ampiamente comprovati alla stregua della documentazione sanitaria – prodotta in giudizio dalla difesa dì quest’ultimo (cfr., all’uopo, la documentazione nella produzione di parte attrice), nemmeno abbiano formato oggetto di alcuna specifica contestazione ad opera della suddetta struttura sanitaria pubblica convenuta e siano, pertanto, da ritenersi comprovati ai sensi della disposizione normativa di cui all’art. 115, comma primo, cod. proc. civ., come modificato mediante l’art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69. Sussiste, pertanto, la prova del titolo contrattuale in forza del quale l’attore ha esercitato l’azione risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria sopra menzionata. In particolare, si è in presenza di un contratto atipico a prestazioni corrispettive (cosiddetto “contratto di Spedalità), che si conclude all’atto dell’accettazione del paziente presso la struttura e da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (da parte del paziente, dell’assicuratore ovvero del Servizio Sanitario Nazionale) insorgono, a carico della struttura sanitaria, accanto a quelli di tipo “latu sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico, nonché di apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze (cfr., all’uopo, anche Cass. 14 giugno 2007, n. 13593, Cass. 26 gennaio 2006. n. 1698; Casso 14 luglio 2004, n. 13066; Cass. 8 gennaio 1999, n. 103). Peraltro, così ricostruita la fattispecie, la struttura certamente risponde, in via contrattuale, non solo delle obbligazioni direttamente poste a proprio carico (servizio alberghiero, attrezzature, eccetera), ma anche dell’opera svolta dai propri dipendenti ovvero ausiliari (personale medico e paramedico), secondo lo schema proprio dell’art. 1228 cod. civ. A tale proposito, peraltro, la Suprema Corte. con la sentenza 8 gennaio 1999, n. 103 (ma cfr. anche, più recentemente, Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2007, n. 6945), applicando in ambito sanitario principi già costantemente esposti nell’ordinario ambito contrattuale, ha ulteriormente chiarito – così sgombrando il campo da qualsivoglia dubbio ed equivoco che rispetto al detto inquadramento dogmatico non rileva la circostanza per cui il medico che esegui l’intervento fosse o meno inquadrato nell’organizzazione aziendale della casa di cura (ovvero dell’ospedale), né che lo stesso fosse stato scelto dal paziente ovvero fosse di sua fiducia (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2007, n. 13593; Cass. civ., sez. 111, 26 gennaio 2006, n. 1698), posto che la prestazione del medico è comunque indispensabile alla casa di cura (ovvero all’ospedale) per adempiere l’obbligazione assunta con il paziente e che, ai fini qualificatori predetti, è sufficiente la sussistenza di un nesso di causalità tra l’opera del suddetto “ausiliario e l’obbligo del debitore (cfr. in tal senso, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 1995, n. 5150). Ad ulteriore precisazione di quanto precede ritiene questo Giudicante che il positivo accertamento della responsabilità dell’istituto postuli pur sempre la colpa del medico esecutore (o dei medici esecutori) dell’attività che si assume illecita, non potendo detta responsabilità affermarsi In assenza di colpa, poiché l’art. 1228 cod. civ. presuppone, comunque, un illecito colpevole dell’autore immediato del danno (cfr., in tal senso, anche Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2007, n. 5846); e che, nella eventuale situazione di Incertezza sulla sussistenza di colpa, della stessa deve giovarsi il creditore paziente e non certo il debitore – medico (cfr. Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400). È appena il caso, infine, di precisare come alcuna rilevanza assuma, ai fini delle considerazioni finora sviluppate, la disposizione normativa contenuta nell’art. 3, comma 1, del Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158 (cd. “Decreto Balduzzi”), come modificato dalla legga di conversione 8 novembre 2012, n. 189 (cd. “Legge Balduzzi”) ed al sensi della quale “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene li linee guida (il buone pratiche accreditate della comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile.” E ciò in quanto come chiarito, anche di recente, dalla giurisprudenza di legittimità. “Il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, comma 1 come modificato dalla Legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene 8 linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve fermo restando, in tali casi, “l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c.” non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l’irrilevanza della colpa lieve.” (cfr., all’uopo. Cass. civ., sez. VI, ord. 24 dicembre 2014, n. 27391, nonché Cass. civ. sez. VI, ord. 17 aprile 2014, n. 8940 secondo cui “L’art. 3, comma 1, delle Legge n. 189 del 2012, là dove omette di precisare in che termini si riferisca all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c., poiché in lege aquilia et levissima culpa venit, vuole solo significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. La norma, dunque, non induce il superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da confatto e sulle sue implicazioni (da ultimo riaffermate da Cass. n. 4792 del 2013).”) Ciò posto In punto di fatto, occorre ora stabilire: a) se vi è nesso causale tra le eventuali azioni od omissioni della convenuta (e, per essa, dei sanitari che eseguirono i trattamenti medico – chirurgici subiti dall’attore nel corso del ricovero e dell’intervento chirurgico del 6 agosto 2008) e l’evento lesivo, rappresentato, secondo la prospettazione dell’attore, dalla contrazione dell’infezione batterica da stafilococco; b) se la condotta della convenuta (e, per essa, dei sanitari che eseguirono l’intervento chirurgico predetto) sia stata conforme alle “leges artis” ed alla diligenza dell’homo eiusdem generis et condicionis. L’accertamento del nesso causale è passaggio logicamente e cronologicamente precedente all’accertamento della colpa, in quanto solamente qualora sia dimostrato che la condotta attiva od omissiva del sanitario sia stata causa dell’evento lesivo subito dal paziente, è possibile procedere ad accertare se questa condotta sia contraria alle leges artis. È necessario, in altri termini, stabilire, nel caso di specie, se la contrazione della malattia lamentala dall’attore sia eziologicamente collegabile alla condotta dei sanitari della struttura pubblica convenuta che eseguirono, in data, l’intervento chirurgico al ginocchio destro, in artroscopia. Il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare l’evento, deve considerarsi causa dell’evento stesso. La valutazione di questo nesso, sotto il profilo della dipendenza dell’evento dai suoi antecedenti fattuali, va compiuta secondo criteri di probabilità scientifica. Anche nell’illecito civile, quindi, la cosiddetta causalità materiale trova disciplina negli artt. 40 e 41 cod. pen., ossia nel criterio della condicio sine qua non riempito di contenuto dalla teoria della sussunzione sotto leggi scientifiche. Come da ultimo chiarito dal supremo organo di nomofilachia, insomma, il nesso di causalità materiale, tra condotta ed evento lesivo, anche nella responsabilità da illecito civile, deve essere accertato secondo i principi penalistici di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per cui un evento è causato da un altro se non si sarebbe verificato in assenza del secondo. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato come una causalità materiale non sia sufficiente per avere una causalità giuridicamente rilevante, la quale impone di attribuire rilievo, secondo la teoria della regolarità causale o della causalità adeguata, con cui va integrata la teoria della condicio sine qua non”, a quei soli accadimenti che, al momento in cui si produce l’evento causante il danno, non siano inverosimili e imprevedibili, secondo un giudizio “ex ante” (di cosiddetta “prognosi postuma”), da ricondurre al momento della condotta e da effettuare secondo le migliori conoscenze scientifiche disponibili (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2006, n. 561). Come chiarito dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte, pero, pur essendo gli stessi i principi che regolano il procedimento logico giuridico ai fini della ricostruzione del nesso causale, ciò che muta tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, mentre, nel secondo, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non” (cfr., al riguardo, la già citata Cass. civ. sez. un., 11 gennaio 2006, n. 581). In materia civile, quindi, l’accertamento della causalità materiale richiede una certezza di natura eminentemente probabilistica. Ed Invero, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, che questo Giudice ritiene di condividere, il nesso causale fra il comportamento del medico e il pregiudizio subito dal paziente è configurabile qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili probabilità di evitare il danno verificatosi (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2006, n. 867; Cass. civ., sez. III, 23 settembre 2004, n. 19133).
Risulta, dunque, necessario accertare che il comportamento diligente e perito del sanitario avrebbe avuto la probabilità di prevenire o elidere le conseguenze dannose concretamente verificatesi.
Probabilità, ovviamente, non meramente statistica, ma di natura logico – razionale. Deve ritenersi sussistente un valido nesso causale tra la condotta colposa del sanitario e l’evento lesivo, in conclusione, allorché, se fosse stata tenuta la condotta diligente, prudente e perita, l’evento dannoso non si sarebbe verificato: giudizio da compiere non sulla base di calcoli statistici o probabilistici. ma unicamente sulla base di un giudizio di ragionevole verosimiglianza, che va compiuto alla stregua dagli elementi di conferma (tra cui soprattutto l’esclusione di altri possibili e alternativi processi causali) disponibili in relazione al caso concreto. Orbene, i fatti costitutivi della pretesa risarcitoria azionata dall’attrice possono ritenersi ampiamente acclarati alla stregua della relazione di Consulenza Tecnica d’Ufficio ai cui condivisibili rilievi questo giudice integralmente si riporta e che ha riconosciuto, tra l’altro, come le lesioni lamentate dall’attore siano derivate da profili di negligenza da parte dei sanitari della struttura sanitaria pubblica convenuta, suscettibili di essere ravvisati nell’inosservanza, da parte di costoro, non solo delle precauzioni standard (quali l’opportuna sterilizzazione delle apparecchiature e l’opportuna preparazione del campo operatorio) e nell’inadeguata decontaminazione, disinfezione o sterilizzazione del materiale utilizzato durante i trattamenti medico chirurgici ai quali fu sottoposto l’istante durante il menzionato periodo di ricovero presso la convenuta struttura ospedaliera, ma anche dalia omissione della profilassi antibiotica pre – operatoria e perioperatoria e dal successivo errore di diagnosi, quando nel corso dei controlli ambulatoriali post operatori non veniva riconosciuta e, conseguentemente adeguatamente trattata la sepsi riscontrata. In particolare, come chiarito dal Consulente Tecnico d’Ufficio prof. Gu. Se.: “a. l’intervento eseguito di osteosintesi con placche e viti del pilone tibiale risultava essere difficoltoso non solo perché trattavasi di frattura scomposta ma anche per “associazione consensuale della frattura del perone. Spesso infatti sono necessari più interventi ad è” quindi più opportuno parlare di iter terapeutico piuttosto che di semplice intervento chirurgico e considerare in modo dinamico l’approccio alla patologia dal pilone tibiale come un processo multi – step multidisciplinare dove al chirurgo ortopedico è spesso necessario associare il chirurgo plastico; b. nell’esecuzione dell’intervento sono state osservate le regole tecniche di diligenza e di prudenza richieste dal caso. C. tuttavia dalla cartella clinica, francamente lacunosa in più punti nella sua stesura, non risulta che sia stata attuata alcuna profilassi antibiotica pre – operatori e perioperatoria cosi come dettalo dalle linee guida in caso di interventi ortopedici con osteosintesi con placche e viti. Tale omissioni, per quanto argomentato nelle considerazioni medico – legali, certamente ha potuto influire negativamente sull’Insorgenza della complicanza settica palesatasi nel post operatorio dopo la dimissione del paziente.
Per tale motivo anche se “infezione dei mezzi di sintesi, rappresenta una complicanza ben descritta in letteratura dopo il loro posizionamento e dunque di per sé non risarcibile, nel caso de quo tale sepsi finisce per essere escomiata sostanzialmente dal novero delle complicanze. Infatti la sepsi riscontrata nel post – operatorio al dott.——– certamente è stata favorita sia dall’omissione della profilassi antibiotica perioperatoria, sia dal successivo errorew di diagnosi, quando nel corso del controlli ambulatoriali post – operatori non veniva riconosciuta e, conseguentemente, adeguatamente trattata, con ritardo nella diagnosi definitiva responsabile di un aggravamento del quadro settico che ha poi sostenuto “Insorgenza dell’osteomielite cronica”. Alla stregua delle considerazioni finora sviluppate può, dunque, senz’altro essere fornita risposta positiva all’interrogativo in precedenza posto nel capoverso contrassegnato dalle lettere “a)” (se vi è nesso causale tra le eventuali azioni od omissioni della convenuta e l’evento lesivo) e negativa al quesito contenuto nel capoverso contrassegnato dalla lettera “b)” (se la condotta della convenuta sia stata conforme alle “leges artis ed alla diligenza dell’homo eiusdem generis et condicionis”). Sussiste, dunque, l’elevata “probabilità logica” che una più attenta condotta dei sanitari della struttura pubblica convenuta, quanto alla puntuale osservanza delle precauzioni standard e quanto all’adeguata decontaminazione, disinfezione o sterilizzazione del materiale utilizzato durante l’esecuzione dei trattamenti medici – chirurgici effettuati. In conclusione, dalle considerazioni finora sviluppate discende raccoglimento della domanda giudiziale proposta nei confronti della convenuta, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 cod. civ.
In punto di “quantum debeatur”, sulla scorta della Consulenza Tecnica d’Ufficio, i postumi permanenti accertati e suscettibili di essere posti in relazione alle negligenze riscontrate a carico della convenuta, configurano una riduzione dell’integrità psico – fisica (danno biologico) nella misura del 15% (quindici percento).
L’ausiliario del giudice ha, poi, indicato in giorni 210 (duecentodieci) il periodo di invalidità Temporanea Totale ed in giorni 547 (cinquacentoquarantasette) il periodo di invalidità Temporanea Parziale, al 50% (cinquanta percento), giorni 1250 (milleduecentocinquanta) di invalidità Temporanea Parziale, al 25% per i postumi connessi alla contrazione della malattia. Pertanto questo giudicante, in applicazione dei parametri sopra menzionati ed in considerazione dell’età dell’attore al momento del ricovero presso l’Azienda Ospedaliera (45 anni circa), ritiene di determinare il quantum debeatur, all’attualità, per n danno biologico residuato all’istante, nella somma di E. 41.277,00 = (euro quarantunomila 277.00=) per i suddetti postumi permanenti, nonché in quella di E. 20.160,00 (euro ventimila 160.00) per invalidità Temporanea Totale, in quella di E. 26.256.00= (euro ventiseimlla 256,00=) per invalidità Temporanea Parziale al 50%, In quella di euro 30.000,00= (trentamila00) connesse alla predette lesioni. Il tutto, per un importo pari, all’attualità, ad euro 117.693,00= a titolo di danno biologico, in cui è ricompreso anche il danno morale come da più recente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte.
Competono, infine, gli importi corrispondenti alle spese mediche sostenute e liquidata forfettariamente nella misura di euro 11.000,00=.
In definitiva. sulla base delle considerazioni finora sviluppate, la convenuta dovrà corrispondere all’attore sig. Fr. Br. ed a titolo di risarcimento danni, l’importo complessivo di euro 128.693,00=, scaturente dalla sommatoria delle voci di danno già sopra indicate e liquidate all’attualità oltre interessi legali dal fatto al soddisfo.
3. Non possono invece trovare accoglimento le domande spiegate dagli interventori volontari mancando all’uopo idoneo riscontro probatorio. Invero i dedotti danni non possono essere ritenuti fondati solo attraverso il meccanismo della presunzione e in via riflessa dalle patologie da cui è affetto l’attore.
4. Le spese tra parte attrice e la convenuta ASL seguono il principio della soccombenza e sono liquidate, con attribuzione, come da dispositivo. Le spese tra le altre parti sono invece compensate.
Spese della CTU, liquidate con separato decreto, a carico della convenuta ASL.
 
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli, 8″ sez. civile, nella persona del Giudice Unico dott. Stefania Pisciotta, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe così provvede:
a) Accoglie la domanda proposta da e, per l’effetto, condanna l’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro, in persona del legale rappresentante pro – tempore al pagamento in favore di ——– della complessiva somma di euro 128.693,00= all’attualità altra interessi legali dalla data del fatto al soddisfo;
b) Rigetta ogni altra domanda proposte;
c) Condanna l’Azienda Sanitaria Locale 1 Centro alla rifusione delle spese del grado che liquida nella complessiva misura di euro 13430,00= oltre 15% per rimborso spese forfetarie ed oneri accessori e con attribuzione all’avv. Michele Liguori dichiaratosi anticipatario;
d) Spese compensate tra le altre parti
e) Spese di CTU, come da separato decreto, a carico dell’Azienda Sanitaria Locale 1 Centro.
Così deciso in Napoli il 25 marzo 2016
Depositata in Cancelleria il 27/09/2016

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