Il ddl Gelli visto con gli occhi degli infermieri

23 gennaio 2017 – Dopo l’approvazione della Camera e il via libera del Senato in seconda lettura, per l’approvazione del disegno di legge sulla responsabilità professionale degli esercenti la professione sanitaria e la sicurezza dei pazienti – ddl Gelli – si prospettano tempi rapidi. L’approvazione definitiva di questa legge, attesa da oltre 15 anni da tutti i professionisti del settore, potrebbe avvenire già entro il prossimo febbraio ha affermato Federico Gelli, responsabile sanità del Pd e relatore del disegno di legge. Vediamo cosa cambia per gli infermieri.

Le novità del ddl Gelli per la professione infermieristica

Volendo approfondire il DDL n. 2224 recante disposizioni in materia di rischio clinico e responsabilità professionale del personale sanitario, cosiddetto ddl Gelli, dobbiamo partire da un presupposto: all’interno non troveremo mai la parola infermiere.

Ad una prima analisi superficiale verrebbe da pensare che per l’ennesima volta la professione infermieristica sia stata messa all’angolo. In realtà il ddl compie un’evoluzione terminologica non indifferente, anche a favore della professione infermieristica: si comincia con la frase “esercenti le professioni sanitarie” (sono professioni sanitarie quelle che lo Stato italiano riconosce e che, in forza di un titolo abilitante, svolgono attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Alcune professioni sanitarie sono costituite in Ordini e Collegi…, fonte Ministero della Salute).

Nell’articolo forse più importante per ciò che concerne l’ambito legale-forense (art. 15, comma 1), si parla di “specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”. Infine, volendo completare questa breve valutazione etimologica, ancora nell’articolo 15, comma 3 troviamo la frase “esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie”.

Risolto questo “fastidioso” dubbio, andiamo ad analizzare alcuni articoli del DDL riferibili pienamente agli infermieri.

Il cammino è breve, in quanto già nell’articolo 1, comma 1 si fa riferimento alla sicurezza delle cure come parte costitutiva del diritto alla salute perseguito nell’interesse dell’individuo e della collettività (come bene esplicita la Costituzione all’articolo 32); nei successivi commi 2 e 3 vengono messe in risalto tutte le attività di prevenzione e gestione del rischio connesse all’erogazione di prestazioni sanitarie.

Nel realizzare ciò è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti. Imprescindibile risulta quindi la qualità delle cure anche attraverso il corretto impiego delle risorse, concorrendo in tal senso anche i dirigenti delle professioni sanitarie.

La responsabilizzazione degli esercenti le professioni sanitarie comincia a concretizzarsi già nell’articolo 2, comma 4, il quale promuove, in ogni Regione, l’istituzione di un centro regionale per la gestione del rischio, il quale raccolga dalle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private i dati regionali sui rischi ed eventi avversi.

Ciò significa che sarà necessario per ogni azienda sanitaria, pubblica o privata, denunciare tutti gli eventi legati al risk management. Tradotto: pieno coinvolgimento degli infermieri (preferibilmente dotati di formazione nella gestione del rischio clinico), nel realizzare procedure aziendali favorenti la denuncia di eventi avversi, near miss, ecc.

Riprendendo l’introduzione del presente articolo, “parte degli esercenti le professioni sanitarie” sono di nuovo in prima linea nell’articolo 5, all’interno del quale, nel comma 1, gli stessi operatori sanitari sono tenuti, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, ad attenersi alle raccomandazioni previste dalle linee guida (trattandosi di sintesi delle migliori evidenze scientifiche, permettono di definire standard assistenziali e criteri di appropriatezza con cui valutare le performance di professionisti e organizzazioni sanitarie e, pur mantenendo un orientamento più culturale che normativo, possono essere utili riferimenti nel contenzioso medico-legale) pubblicate ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati, nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco.

Qualora dovessero mancare le suddette raccomandazioni, i professionisti sanitari si atterranno alle buone pratiche clinico-assistenziali. A tal proposito l’ulteriore novità del ddl Gelli definisce anche i requisiti che devono possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche, attraverso un successivo decreto del Ministero della Salute.

Nel commentare il su indicato articolo 5, perché abbiamo sottolineato “parte degli esercenti le professioni sanitarie”? Perché nella elencazione delle prestazioni sanitarie manca la componente assistenziale; infatti, come già anticipato, si parla di finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale. In questo caso forse si dovrebbe parlare di involuzione terminologica più che di evoluzione.

La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria viene chiarita all’interno dell’articolo 6, il quale introduce un nuovo articolo nel codice penale: art. 590-sexies – Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario. In pratica la norma stabilisce che l’esercente la professione sanitaria, nello svolgimento della propria attività, se cagiona la morte o lesioni personali del paziente, ne risponde dei reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, attraverso le pene previste dagli articoli 589-590 codice penale.

Tuttavia qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia (inesperienza, ignoranza, inadeguatezza), la punibilità è esclusa quando sono rispettate le già citate raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Approfondendo i concetti possiamo sintetizzare dicendo che nel primo comma dell’articolo 6 permane la colpevolezza solo in caso di colpa grave, depenalizzando la colpa lieve e quella normale, facendole rientrare nell’area del penalmente irrilevante, in caso di comportamento imperito da parte dell’esercente la professione sanitaria.

Nel secondo comma invece, anche la colpa grave viene “esclusa” quando risultano rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali. In altri termini, è ravvisabile la colpa grave se si sono rispettate le linee guida, ma per le rilevanti specificità del caso concreto non si dovevano rispettare.

L’articolo 7 del ddl Gelli disciplina la responsabilità civile. Nella prima parte dell’articolo in questione l’intento del legislatore è quello di responsabilizzare la struttura sanitaria o sociosanitaria (ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile) per ciò che concerne l’operato degli esercenti la professione sanitaria, anche in regime di libera professione intramuraria, ovvero in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.

Il sanitario però risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 cc. (Risarcimento per fatto illecito), salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Al riguardo il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente, valutando cioè se si sia attenuto alle raccomandazioni previste dalle linee guida o in seconda battuta alle pratiche clinico-assistenziali.

Il ddl Gelli in breve

Sintetizzando, il ddl Gelli introduce un doppio binario di responsabilità: contrattuale a carico delle strutture sanitarie (pubbliche e private) e dei liberi professionisti, extracontrattuale per l’esercente che svolge la propria attività nell’ambito di una struttura sanitaria.

Ciò comporta l’inversione dell’onere della prova, che sarà ora a carico del paziente (che vede assumere l’onere di provare il preciso fondamento della propria domanda) e non più del sanitario.

In riferimento all’azione di rivalsa (articolo 9), viene limitata la stessa ai soli casi di dolo o colpa grave, ponendo il limite della somma pari al valore maggiore del reddito professionale (retribuzione lorda), conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per tre.

A tal riguardo il successivo articolo 10, comma 3 introduce l’obbligo per gli esercenti attività sanitaria, operanti a qualsiasi livello, di stipulare adeguata polizza assicurativa per colpa grave e responsabilità civile, al fine di garantire efficacia all’azione di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria e verso l’assicurato.

In caso di giudizio basato sulla responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, le strutture sanitarie, sociosanitarie e le imprese assicuratrici, dovranno comunicarlo al sanitario entro 10 giorni dalla ricezione della notifica dell’atto introduttivo, attraverso PEC o lettera raccomandata con ricevuta di ritorno (articolo 10).

Nuova linfa alla professione infermieristica, in particolare al campo legale forense viene data dall’articolo 15, il quale trattando il tema della nomina dei Consulenti Tecnici d’Ufficio (CTU), oltre a menzionare i medici, parla di specialisti con specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, purché iscritti negli albi dei tribunali, ma in assenza di conflitti d’interesse (in tal senso da apprezzare la campagna di sensibilizzazione promossa dall’APSILEF – Associazione Professioni Sanitarie Italiane Legali Forensi).

In conclusione possiamo affermare, come ha giustamente commentato la Presidente della Federazione IPASVI Barbara Mangiacavalli, che questo testo riconosce alle professioni sanitarie quel livello di responsabilità che negli ultimi tempi anche la Magistratura spesso attribuisce.

L’unico dubbio che resta (evidenziato anche dalla Fondazione GIMBE) è legato alla validità, ma soprattutto all’aggiornamento delle linee guida, non sempre adeguate agli standard metodologici di produzione del Guidelines International Network (G-I-N).

di Muzio Stornelli 

http://www.nurse24.it/infermiere/professione/il-ddl-gelli-visto-con-gli-occhi-degli-infermieri.html

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