Ai tempi del Coronavirus, non operatori sanitari, ma carne da macello

Ai tempi del Coronavirus tutti si fermano, le cose assumono una inaspettata e quanto mai sensata immobilità, in assoluto immemorabile e quasi bellica.
Ma c’è del movimento al fronte, labirinti intricati di corsie sconfinate, chiuse, sigillate, a pressione negativa, con effluvi puzzolenti, con sudore e sentore di morte, tra medaglie eroiche e bei titoloni sui giornali, tra presenze sceniche di vecchi attori che in tempi di pace tagliavano a destra e sinistra e rendevano monco un SSN, di mezzi, di personale, di strutture, di braccia e gambe.

Solo un palcoscenico, quello emergenziale, si muove e rinasce, come da ceneri di falò pregressi: un set sanguinolento in cui si mischia incessante l’operosità con la fatica, il sacrificio e l’abnegazione di centinaia di migliaia di operatori sanitari italiani elogiati su carta, pettinati e patinati dai politici, sistemati a puntino per partire, salutati con un fazzoletto macchiato e becero sventolato da istituzioni, organi preposti e vicini, prima di essere inviati al macello.
Una carne da macello all’apparenza inerte, che grida e stride, digrignando musi duri sotto mascherine ormai sozze, bucate, zuppe e virulente.
E’ obbligatoria la FFP3, anche la FFP2, ma sù non si disprezzano le mascherine chirurgiche, fatevele con la carta forno, applicate con metodo pezzi di carta igienica dopo averla usata per indicibili scopi, se fatto con metodo è utile, tanto ormai siamo in guerra, tutto è dovuto, tutto è come manna dal cielo: non vi attaccatte a tali bazzecole e capricci!

Il mio salumiere ha la FFP3, essendo pericoloso che scappi un cicciolo piccante in un occhio, dall’affettatrice nel quotidiano e pericoloso gesto di affettare. Il pescivendolo la FFP2 per paura che le squame nell’evisceramento gli si attacchino al viso, ecc., ecc.. Gli operatori sanitari ne sono privi, anzi hanno attraversato i diversi gradi, tanto ormai l’epidemia è in decadenza, tanto è in fine l’emergenza e il patogeno debellato, tanto la carne da macello non ha bisogno di protezione, ma solo di una lenta e fragrante frollatura a testa in giù attaccata ad un gancio negli stanzini fetidi dei reparti.
La carne da macello asintomatica non ha bisogno di protezioni, ma solo di un velo di tessuto traspirante quando è appesa ad un gancio; la carne da macello con una leggera febbricola e trasudante non necessita di essere spaventata da uno stecco infilato nel naso ed in gola, tanto ha un lungo spiedo attaccato e fili calati dall’alto; la carne da macello è buttata là sulla brace, senza DPI, come senza condimento, “nature”, nuda e cruda; la carne da macello ha inserita nelle fibre una telemetria (che è tarata a non inviare segnali spaventevoli e preoccupanti, ma solo ad innescare un
defibrillatore ed un pace maker, pronti a spingerci sempre avanti); la carne da macello, non deve far sorridere i polli e spaventare i pazienti facendosi vedere tutta bardata con cappa e spada, rischiando procedimenti disciplinari, tanto tutto passerà, dicevano, è una semplice influenza; la carne da macello rischia ogni giorno di fare a pezzi la propria famiglia, ma a nessuno importa.
A nessuno interessa sapere del grave rischio, a nessuno sentire dei numerosi divieti di indossare una semplice mascherina, a nessuno che la si debba lavare e disinfettare col sudore, a nessuno che si cerca il pelo nell’uovo (tanto nascono come funghi direttive aziendali affisse e trafitte nella schiena,
che consentono una moderna assistenza telepatica ad un metro e mezzo di distanza), a nessuno che il virus venga fatto dilagare dal paziente sano a quello malato, e che te lo porti in casa fin sotto il cuscino di tuo figlio, che ormai sei diventato uno zombi col cervello fumante dopo 12 ore di lavoro senza sosta.
Qui il problema è capire che siamo più untori che monatti, ci stanno condannando a morte perchè quando è guerra è guerra, occorre sacrificare tutto per un insano modello già precostituito della sanità e delle risorse.
Il virus non è solo, in questi giorni ha fatto incetta di molti seguaci.
Siamo pronti al sacrificio, non alla condanna a morte.

Giovanni Trianni Infermiere Legale Forense
Ufficio Stampa APSILEF

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