Non licenziabile il dipendente Asl in aspettativa non retribuita se lavora senza autorizzazione

La sezione Lavoro della Corte di cassazione con la sentenza n. 14103/16, depositata ieri, ha accolto il ricorso di un dipendente di una ASL licenziato per aver svolto prestazioni sanitarie private mentre era in aspettativa non retribuita.

La gravità del comportamento deve essere valutata sotto diversi aspetti prima di poter procedere a un «legittimo» licenziamento disciplinare, perché la risoluzione del contratto di lavoro è giustificata se vi sono comportamenti che incrinano il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente inadempiente.

Il Sole 24 Ore – 13 luglio 2016 

Intensità della violazione

La Corte di appello dovrà ora ripetere il giudizio di secondo grado secondo i principi fissati dalla Corte di cassazione e l’interpretazione che essa ha fornito dell’articolo 13 del CCNL del comparto Sanità. La Cassazione ritiene che in maniera apodittica i giudici di secondo grado abbiano confermato la legittimità del licenziamento disciplinare in quanto vi era stata la violazione del divieto di prestare attività lavorativa in assenza di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza. Ma senza badare ai richiami della norma contrattuale ai criteri di gradualità e proporzionalità della sanzione disciplinare. La Corte, inoltre, ricorda che per giurisprudenza costante la Corte di cassazione nelle cause di lavoro del pubblico impiego può procedere a fornire direttamente l’interpretazione delle norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Valutazione

Secondo i giudici di legittimità la gravità dell’inadempimento deve essere valutata nel rispetto della previsione dell’articolo 1455 del Codice civile, secondo cui la risoluzione del contratto non può avvenire per fatti di scarsa importanza. Quindi l’irrogazione della massima sanzione disciplinare del licenziamento può essere giustificata solo da un grave inadempimento che interrompa il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Valutazione da operare in concreto tenendo conto della realtà aziendale e delle mansioni svolte. Non è perciò sufficiente, come era sembrato ai giudici di merito, che venisse accertata la violazione di un divieto. E neanche si ritiene sufficiente l’inadempimento di un obbligo contrattuale. Nello specifico i giudici – secondo la Corte di cassazione – hanno mancato di considerare che gli incarichi illegittimi – svolti privatamente o presso altre strutture – si erano svolti nel periodo in cui il dipendente pubblico rispetto all’amministrazione di appartenenza era collocato in aspettativa, per giunta non retribuita.

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