Il tempo necessario per indossare la divisa deve essere retribuito – Tribunale Genova, sez. lavoro

Tribunale Genova, sez. lavoro, sentenza 27.09.2011 n° 1401 (Manuela Rinaldi)

Orario di lavoro: il tempo che occorre al prestatore di lavoro al fine di indossare la tuta, i dispositivi di protezione individuale (presso lo spogliatoio aziendale) rappresenta uno straordinario nel caso in cui ecceda le 40 ore settimanali: di conseguenza deve essere retribuito.

Così ha precisato il Tribunale di Genova, nella sezione lavoro, con la sentenza 27 settembre 2011, n. 1401. Allo stesso modo si deve computare il tempo impiegato, a fine turno, allo scopo di compiere le stesse operazioni nonché quel tempo occorrente per recarsi dallo spogliatoio sino all’orologio marcatempo di reparto.

In tali circostanze tali periodi necessari al prestatore per indossare tutti quegli strumenti forniti dal datore di lavoro (nel momento e nel luogo dallo stesso individuati) rientrano nell’ambito del c.d. lavoro effettivo di cui alla normativa vigente in materia, R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692.

Deve, altresì, essere rilevato che nel caso in cui vi sia facoltà del lavoratore circa il tempo ed il luogo nel quale indossare la divisa aziendale, tale periodo non deve essere retribuito.

Nella decisione che qui si commenta si può leggere testualmente che “Rientrano nell’ambito del lavoro effettivo ex art. 6 RDL 692/23 anche “i lavori preparatori e complementari che debbano eseguirsi al di fuori dell’orario normale delle aziende”. “Costituiscono lavori preparatori e complementari rientranti nell’orario di servizio, quelli che siano strettamente necessari per predisporre il funzionamento degli impianti e dei mezzi di lavoro, per apprestare materie prime, per la pulizia, per l’ultimazione e lo sgombro dei prodotti ed in genere tutti gli altri servizi indispensabili ad assicurare la regolare ripresa e cessazione del lavoro nelle industrie a funzionamento non continuativo, limitatamente al personale addetto a tali lavori”.

Ai sensi dell’art. 2 punto 1 della Direttiva 23 novembre 1993 n. 93/104 del Consiglio dell’Unione Europea rientra nell’orario di lavoro” qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Il legislatore nazionale ha recepito tale direttiva con il D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66  , il quale all’art. 1 comma 2 lett. a) prevede omologa disposizione e all’art. 8 conferma che il tempo impiegato dal lavoratore per recarsi sul luogo di lavoro deve ritenersi escluso dal concetto di orario di lavoro”.

Precedenti giurisprudenziali

Nel rapporto di lavoro deve distinguersi una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni o attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104, comma 2, c.c.) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro il quale, ad esempio, può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza, al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva (Cass.civ., Sez. Lav., 10 settembre 2010, n. 19358).

Ai fini della determinazione se il tempo necessario al lavoratore per indossare gli indumenti di lavoro forniti dall’azienda costituisca o meno tempo di lavoro retribuito, occorre distinguere nello svolgimento della prestazione lavorativa una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, e una fase preparatoria, relativa a prestazioni o attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa e autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale, ad esempio, può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza, al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva (Cass.civ., Sez. Lav., 10 settembre 2010, n. 19358).

(Altalex, 13 gennaio 2012. Nota di Manuela Rinaldi)

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