Badge – Cassazione Lavoro – chiede al collega di “timbrare”: legittimo il licenziamento

Risultati immagini per timbrare cartellinoCassazione Civile, Quarta Sezione Lavoro, Sentenza  25 maggio 2016, n. 10842

La Cassazione sancisce la legittimità del provvedimento espulsivo irrogato a un dipendente resosi responsabile della violazione delle disposizioni in tema di rilevazione automatizzata della presenza, per aver autorizzato un collega a “timbrare il suo cartellino” in anticipo rispetto all’entrata in servizio.

1. Il caso

La pronuncia trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Napoli che, confermando la decisione di primo grado, rigettava il ricorso di un lavoratore inteso ad ottenere la dichiarazione d’illegittimità del licenziamento intimato dall’Azienda datrice di lavoro per aver autorizzato un proprio collega a timbrare il suo badge identificativo, alterando, così, il sistema di registrazione dell’inizio della propria attività lavorativa. La Corte territoriale, in particolare, motivava la propria decisione di reiezione sull’assunto che il comportamento “gravemente irregolare ed assolutamente anomalo” del lavoratore,  in quanto finalizzato a lucrare benefici in termini di percezione di compensi ulteriori ovvero di abbreviazione del turno di lavoro, avesse compromesso in misura significativa il vincolo fiduciario con la controparte datoriale.

Avverso tale pronuncia il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione, articolando, in particolare, tre motivi di censura. In particolare, secondo la prospettazione del ricorrente, il ragionamento del giudice partenopeo manifestava la sua fallacia nel mancato rispetto del principio di proporzionalità tra sanzione comminata e fatto addebitato al lavoratore.

2. La decisione della Suprema Corte

Chiamato a pronunciarsi, il Supremo Collegio con la sentenza in commento ha disatteso tutti i motivi di doglianza addotti.

Secondo la Cassazione,  l’iter  argomentativo della Corte partenopea muove dal presupposto secondo cui per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento (che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario) occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta,  stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore  di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. E ciò, aggiunge, anche nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giusta causa di licenziamento, in quanto l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’articolo 1455 del codice civile.

Orbene, ad avviso della Cassazione, il ragionamento del giudice di merito «si basa su una consolidata ricostruzione giurisprudenziale della nozione di giusta causa nell’ambito del licenziamento disciplinare, in base alla quale, trattandosi dell’applicazione  di un concetto indeterminato, l’accertamento deve essere svolto in base agli specifici elementi  oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta, quali tipo di mansioni affidate al lavoratore, il  carattere doloso o colposo dell’infrazione, le circostanze di luogo e di tempo, le probabilità di  reiterazione dell’illecito, il disvalore ambientale della condotta quale modello diseducativo per  gli altri dipendenti».

Più precisamente – osserva la Corte –  «con riguardo all’alterazione del cartellino marcatempo,  questa Corte ha già avuto modo di confermare valutazioni di gravità rese dai giudici di merito,  ritenendo che la falsa timbratura del cartellino può rappresentare una condotta grave che lede  irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro e può giustificare il licenziamento  (vedi Cass. n. 24796/2010 e Cass. n. 26239/2008) ».

Traspare, nel passaggio in commento, il seguente assunto: il comportamento in contestazione – espressivo di «disvalore ambientale» per la sua efficacia «diseducativa per gli atri dipendenti» – lungi dall’esaurirsi in una mera violazione delle disposizioni dettate in materia di “formalità prescritte per la rilevazione ed il controllo delle presenze”, costituisce, assai più intensamente, condotta grave e suscettibile di incrinare irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro, con conseguente sua attitudine, dunque,  ad assurgere a giusta causa di licenziamento.

Pertanto – prosegue la Cassazione – la decisione di conferma della legittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro è scaturita da un’attenta valutazione – da un lato – della gravita dei fatti addebitati al  lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, e – dall’altro –  della proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, all’esito della quale si è rilevato che la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro è stata in concreto tale da  giustificare la massima sanzione disciplinare.

Da tanto deriva la nullità del ricorso.

03 giugno 2016 Ilaria Stellato

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